Per chi non lo conoscesse, “Das Boot” (il battello) è tra i più acclamati film sui sottomarini mai girati, al pari di “K-19″ e “Caccia a Ottobre Rosso”. Ne avevamo già trattato in un altro articolo, analizzandone con precisione la maestosità registica e il cinerealismo di Wolfgang Petersen, tra l’altro protagonista della pellicola stessa.
A distanza di quasi cinquant’anni dall’uscita dell’originale cinematografico, forse anche a causa della scarsità di film validi sulla guerra sottomarina, Sky Atlantic è tornata sulle orme di Petersen cercando di riportare in vita un titolo che sembrava non avere alcun successore. La serie televisiva “Das Boot” è approdata (letteralmente) su Sky qualche mese fa, creando una spaccatura netta nel pubblico fan della storia. Occorre innanzitutto capire perché.
Il “Das Boot” originale non aveva bisogno di eredi; non terminava con un cliffhanger né lasciava intendere un sequel, perché la seconda guerra mondiale non ne ha avuto uno. La fine del film combaciava con la fine della speranza per i tedeschi di vincere il conflitto, con la totale impotenza dinanzi alla macchina bellica alleata, mentre dalle sale del Reichstag si alzavano sempre più in alto le urla propagandistiche di Hermann Goering. Fine.
La scelta di riprendere un titolo tanto importante ha fatto storcere il naso a molte persone, con buona ragione. C’è il rischio di affossare per sempre un titolo importantissimo per il cinema tedesco ed europeo, creando qualcosa di abbozzato e storicamente poco accurato. La serie televisiva ha appena terminato la pubblicazione della prima stagione, divisa in otto episodi, della durata di un’ora ciascuno. Lo stile è quello classico della BBC o di Sky, con un breve riassunto delle puntate precedenti e tanta musica di suspense.
La storia è ambientata qualche mese dopo l’affondamento dell’U-96 al porto di La Spezia: siamo nell’ottobre del 1942 e l’Atlantico è pattugliato da poco meno di dodici sottomarini tedeschi in toto, un disperato tentativo di far fronte all’immensa flotta alleata. Dal porto di La Rochelle (Francia occupata), partono equipaggi sempre più giovani e inesperti per rimpiazzare le enormi perdite. Tra questi c’è il sottomarino U-612, al comando del neo-promosso Capitano di battello Klaus Hoffmann (Rick Okon); l’Uboat, un classe VII-C (ultimo modello prima dei classe IX da infiltrazione) è pressoché nuovo e necessita di un test pratico in acque ostili. Hoffmann deve combattere con il nemico, ma allo stesso tempo con il comportamento ostile del suo Primo Ufficiale Tennstedt (August Wittgenstein), accecato dalla propaganda.
Nello stesso momento, la sorella di uno dei marinai dell’U-612 diventa impiegata presso l’ufficio della Gestapo di La Rochelle, controllata dal criminologo Hagen Forster (Tom Wlaschiha). Ella si ritrova suo malgrado coinvolta in un giro illegale che conduce direttamente alla resistenza dei maquis francesi, costringendo se stessa a scegliere da che parte stare.
Sebbene la scelta del regista di dividere in due tronconi la trama principale sia uno stratagemma perfetto per mantenere la tensione e annullare i punti morti, è la “parte sottomarina” a risentire di più di questa innovazione. Sono tanti, forse troppi, i riferimenti diretti al film originale; non si parla solo di sottili richiami, ma di veri e propri dialoghi e scene di diversi minuti strappate dalla pellicola di Petersen e ricollocate qua e là nella serie per regalare qualche emozione in più. Non è chiaro quale sia l’intento della produzione.
Potrebbero aver messo in conto che quasi nessuno (purtroppo) al giorno d’oggi ricordi il film del 1986 e allo stesso tempo, hanno voluto fare un regalo ai fan. Regalo del tutto non necessario e abbastanza tedioso. Bisogna al contrario riconoscere un meticoloso studio dei dettagli tecnici degli U-Boat, cosa assente nella pellicola originale. Dai sistemi di rifornimento carburante, fino al lungo processo di ricarica dei siluri, dalle riparazioni delle batterie, al funzionamento della famigerata macchina Enigma, Das Boot di Sky è ricco di questi piccoli elementi che fanno la gioia di ogni appassionato di guerra sottomarina.
L’introduzione di una trama parallela, fortunatamente non-banale, è riuscita a rompere questo sistema di copia-incolla dando maggior sapore a tutta la vicenda, annichilendo in parte la claustrofobica vicenda del sottomarino. E’ opportuno capire se la produzione Sonar Entertainment intenda proseguire su questa linea o abbia in serbo idee migliori e più innovative per un titolo che non merita di essere riproposto al pubblico come una minestra riscaldata e vecchia di cinquant’anni.
Consigliata la visione in lingua originale (tedesco) con sottotitoli in inglese o italiano.
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