C’è una maschera per la famiglia, una per la società,
una per il lavoro e quando stai solo resti nessuno.
Luigi Pirandello
Essere e apparire. Il travestimento come esorcizzazione di una fragilità condivisa. Una fragilità che appartiene all’uomo contemporaneo, che si nasconde dietro l’assunzione di maschere convenzionali e stereotipate. La finzione diventa l’unico strumento di sopravvivenza in una realtà competitiva dove l’uomo deve confrontarsi quotidianamente con i suoi simili.
Un concetto tanto attuale quanto la teoria di Nietzsche, che l’ha elaborato. Se nell’antichità il mascheramento era una forma rituale di elevazione soprannaturale, nella contemporaneità diviene scudo, un mezzo di separazione tra il sé e il mondo circostante. Qual è quindi la funzione della maschera nell’arte contemporanea?
La Body Art è sicuramente una forma di manipolazione esteriore del corpo per incarnare una nuova identità. L’artista è un’opera d’arte, oggetto di una performance fotografata o ripresa nella sua azione. Spesso il gioco è sull’ambiguità sessuale, sull’incontro degli opposti in un alter ego. Una seconda personalità all’interno dello stesso individuo. Una realtà che contiene già in sé la sua contraddizione.
«Io spesso mi contraddico per cercare di affermare il mio essere». Sono le parole di Marcel Duchamp, il primo a giocare con il doppio, con un contraltare del sesso opposto. Con un’altra sfaccettatura del suo essere. Nel suo caso è Rrose Sélavy, un’elegante nobildonna infiocchettata con pellicce e anelli vistosi, il cui nome rimanda non casualmente alla frase Eros c’est la vie. Quindi “Amore, questa è la vita”.
La maschera è quindi una componente imprescindibile della vita, della quotidianità. Il velo ingannevole che separa dalla verità, ma che al tempo stesso permette di esistere con questa consapevolezza. In qualsiasi luogo del quotidiano, uno studio, un soggiorno, una strada, una spiaggia, noi indossiamo una maschera. E l’artista che rende sapientemente quest’immagine è Saul Steinberg. Lui e la sua raccolta fotografica Masquerade.
Tra il 1959 e il 1963 realizza le sue Paper-Bag Masks. Maschere realizzate con sacchetti del pane e instillate su volti sconosciuti, immortalati dagli scatti in bianco e nero di Inge Morath. Ognuno dei soggetti abbraccia una storia nascosta, personale. Il frutto di una di tutte le possibili combinazioni di una narrazione universale, frammentata in miliardi di subpersonalità. Nient’altro che micro personalità che attraversano la nostra interiorità e ci permettono di comportarci diversamente a seconda delle situazioni affrontate e degli scopi prefissati.
«Ci sono tante parti di noi quante sono le persone con cui entriamo in relazione». Lo dice lo psicologo William James ed è così che potrebbe essere descritta l’illustrazione di Luis Quiles, in cui una ragazza osserva di spalle una parete di maschere. Di persone. Il termine che, sulla scena teatrale dell’antica Grecia, veniva usato per definire la maschera. Il volto fittizio che nascondeva il volto dell’attore, facendone risuonare solamente la voce. Persona. Per Sonar. Risuonare.
La maschera è però anche una gabbia, in cui la voce echeggia silenziosa. Nessuno la può sentire. È fragile, così come la nostra essenza, molle. Non vuole compromettersi con la realtà esterna perché ha paura del rischio, che si annida tra le relazioni e i conflitti interpersonali. La mediocrità dell’apparire che nasconde l’interesse. Tanto che quest’ultimo si corrode all’interno della maschera, si scioglie, implode, si frammenta in un volto craterico.
Uno spettacolo surreale, mostrato dalle opere di Johnson Tsang nella serie Lucid Dream. Artista di Hong Kong ed ex poliziotto, Tsang fa proprio il retaggio di situazioni e immagini della sua professione e le incarna nelle sue maschere. Il lato oscuro della realtà, la crudeltà da lui vissuta in prima persona, è soffocata dietro i volti da lui scelti, deformati in maniera grottesca, ma al tempo stesso esteticamente delicati e raffinati.
Una realtà non ci fu data e non c’è, ma dobbiamo farcela noi se vogliamo essere: e non sarà mai una per tutti, una per sempre, ma di continuo e infinitamente mutabile. La realtà d’oggi è destinata a scoprircisi illusione domani.
Sono le parole di Luigi Pirandello a definire la funzione mutevole della maschera, così come sono intercambiabili i volti che cela. Performance menzognera, filtro della quotidianità e infine gabbia delle emozioni. La contemporaneità offre la maschera all’atto deformante della realtà e della contemporaneità e si fa portavoce dell’illusione quotidiana di poter assumere una nuova identità.
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