Nata a Firenze, da padre torinese e da madre napoletana, trasferita poi a Torino, Benedetta Cibrario vive oggi a Londra, «guidata dalle convergenze dell’esistenza»; alla sua vita sradicata e radicata in più orizzonti, il suo libro Il rumore del mondo deve molto. Edito da Mondadori e candidato al Premio Strega, Il rumore del mondo è prima di tutto una storia di migrazione, che porta con sé tutte le difficoltà del caso: addii, lasciti, inappartenenze e difficili riadattamenti.
Siamo nel 1838 e Anne Bacon ha appena diciannove anni, è figlia di un mercante di seta facoltoso – «figlia della seta» –, ha ricevuto un’educazione moderna e – per quegli anni – forse un po’ smaliziata, ed è bella, di una bellezza candida e morbida come lo è la sua pelle di meriggi inglesi. La famiglia Bacon vive in Inghilterra, a Londra, una delle città più ricche e all’avanguardia d’Europa, e che richiama molti giovani facoltosi, come Prospero Vignon, ricco ufficiale piemontese. Anne e Prospero si incontrano, si innamorano di un amore fugace e si sposano, ubriachi di giovinezza e di novità, pronti a condividere una vita insieme a Torino. Ma è durante il tragitto, maledetto, tra Londra e la capitale piemontese che Anne si ammala di vaiolo e la malattia compromette la sua pelle di seta e le trasfigura il viso, incrinando irreparabilmente il suo destino.
Il rumore del mondo è un romanzo storico che sa di altri tempi; l’autrice adatta il ritmo della scrittura, sorprendentemente lenta e minuziosa rispetto all’andamento dei romanzi contemporanei, a quello della vita nel XIX secolo, in cui ci si permetteva ancora il lusso dell’indugio. Casimiro, il padre conservatore di Prospero, osservava guardingo i cambiamenti di quegli anni, i tempi accorciati degli spostamenti, «Diamine, due ore invece di sette. Il mondo rischiava di diventare un luogo angusto, se tutte le distanze si fossero ridotte in questo modo», soppesando con una bilancia di rassegnata renitenza i pesi dei cambiamenti.
Da un intreccio di sguardi, tutti al femminile, emerge il ritratto di un periodo storico vivo e incandescente. Linguaggi diversi – lettere, pagine di diario, riflessioni, descrizioni – danno adito a un’epoca in bilico tra la restaurazione dell’ancient regime e i moti riformatori, che portano con sé ideali di indipendenza e libertà, lasciando intravedere il mito napoleonico ancora serpeggiante e onnipresente sullo sfondo. L’arrivo a Torino delle tre donne inglesi, Anne, la sua fida cameriera Eliza e la dama di compagnia, nonché assidua viaggiatrice e donna di mondo dalla vivace parlantina, Theresa Manners, sono emblema dell’inarrestabile cambiamento di quegli anni:
Una brezza di novità che smuove l’aria stantia dell’estate torinese. Possiamo affrettarci a chiudere tutte le finestre, ma non c’è da farsi illusioni: gli spifferi si infileranno ovunque.
Donne forti, indipendenti e combattive, emergono dalla varia campionatura di personaggi minuziosamente caratterizzati, anche grazie a una scrittura che riesce perfettamente ad aderire a ogni personaggio, facendosi ogni volta voce diversa. Eroine ante litteram, sono loro le artefici non solo della loro vita ma della storia; l’approdo di Anne e il suo seguito rappresenta l’incontro e scontro tra due mondi diversi e paralleli, quello moderno inglese con quello conservatore piemontese: due universi culturali e linguistici a confronto, da cui conseguono inevitabili cortocircuiti, tra cui la difficoltà di farsi accettare, di imparare e fare propria una nuova lingua, di ricostruire un’identità insieme nuova e salda a quella precedente, e, soprattutto, di trovare il proprio posto – ubi consistam – anche in una nazione straniera e sconosciuta.
Siamo a metà del XIX secolo, ma quello che affrontano le eroine di Il rumore del mondo, forse non è altro che la stessa sfida che viene affrontata ogni giorno ancora oggi, quella della vita che è «una bestia informe, che azzanna a piacimento e senza fare sconti a nessuno»; la storia accorcia le distanze e rivela attraverso una lente più lucida il vivo presente.
La storia allestisce uno spettacolo in cui figure scomparse si rivelano, se non per quello che sono state, almeno per quello che hanno rappresentato. In un romanzo possiamo coglierle anche per quello che ci suggeriscono. Accanto a coloro che sono stati lievito al mondo, recitano quelli che tentano di annientarlo; ma il numero più grande è rappresentato dalla folla di comparse silenziose che entrano ed escono di scena in punta di piedi.