Il 13 maggio Mimmo Lucano, il sindaco sospeso di Riace, ha parlato all’università La Sapienza di Roma in occasione di una lezione di un corso di dottorato sul tema Convivenze. Sguardo visibilmente emozionato, accolto da un entusiasmo colmo di fiducia e rispetto, l’uomo-simbolo della lotta in favore dell’inclusione (politica, sociale, morale, umana) ha parlato della sua biografia politica, dei suoi risultati attivistici e, guidato da un’ammirevole compostezza democratica, dei suoi processi giudiziari in attivo.
Durante la conferenza il “sindaco morale” di Riace – paese riconosciuto come modello di accoglienza in tutto il mondo – si è fatto espressione non solo di lucide e lampanti intuizioni circa l’illegittimità etica, giuridica e umanitaria delle recenti politiche di chiusura alle masse umane del Mediterraneo, ma anche di un’idea sociale, di un paradigma attivo di prassi politica che, pur nelle più universali e utopistiche aspettative, mantiene un rigore straordinario e altrimenti inaudito di contatto con le realtà concrete e le masse dei moderni ultimi. Memore dei suoi ideali giovanili e di un’educazione morale che, a detta di lui stesso, solo i residui rurali di un Sud ormai morente possono dare, Mimmo ha predicato l’espansione sans frontières della tutela morale dei concetti di democrazia e proletariato. L’antropologia più generale e meno esclusiva del mondo moderno, un mondo di interessi personali e rapimento finanziario, ci fa tragicamente assistere a macabri spettacoli di disuguaglianza e disinteresse per l’ultimo, anche se si tratta dei piani alti del governo politico di una Nazione in cui si caldeggiano idealismi distrattivi e interessi calcolati che distolgono lo sguardo dai veri oppressi, spesso facendoli persino diventare oggetto di odio pubblico. Un problema incessante, un problema storico, resta quello del clandestino. Mimmo osservava che persino i testi giuridici utilizzano questa parola ed assorbono i preconcetti ad essa legata. Ma lui risponde:
Che colpa ha una persona per sentirsi dire “sei un clandestino”?
Un concetto che diviene stigma, quasi il segno di un’essenziale alienazione, di un’esclusione necessaria. Il moderno proletario è proprio questo: colui che viene estraniato socialmente e giuridicamente per meri interessi demagogici e culture esclusive. Inutile ricordare che non solo la storia del Meridione, ma anche quella di tutta Italia è intessuta di legami con numerose altre civiltà, fonti di arricchimento e conquiste sociali. La democrazia è la generalizzazione di quell’emozione, di quel sentimento che sta alla base della più umana accoglienza: l’ospitalità verso il prossimo è un dovere impulsivo del genere umano.
Che dignità può mai avere chi non accoglie chi ne ha bisogno? Emerge implicitamente, nel discorso di Mimmo, una dualità del concetto stesso di dignità: questa è non solo passiva, quindi fruitiva e lasciata alla coscienza morale dell’ospite umano; ma anche attiva, poiché, a detta del sindaco, il rifiuto arbitrario del migrante elude i principi fondamentali della comunità umana e della Costituzione Italiana.
Perché, allora, persino le politiche di sinistra disattendono i loro primitivi ideali di assistenza e progresso dal basso? È nello svolgimento implicito di queste domande che Mimmo puntava l’attenzione su ciò che differenzia il modello-Riace – paese di 1600 abitanti di cui la maggior parte ex migranti – dalle classi d’istituzione politica che, pur occupando seggi in Parlamento, non intervengono a tutela degli ultimi: il punto fondamentale dell’azione amministrativa del paese è stato proprio l’azione, l’anteporre i mezzi e i risultati di un’accoglienza spontanea (parola spesso ripetuta) alle considerazioni di carattere legale e concettuale. Come osservava il prof. Gaetano Lettieri, mediatore della conferenza, Mimmo Lucano è una “personalità di confine, quindi controversa”. La controversia emerge appunto da un punto di vista intellettuale, eidetico, poiché i sentimenti e gli interventi di un’azione non premeditata non poggiano che su un’emozione connaturata, imprevedibile, animale: quella della “comunità”.
A chi mi chiedeva “dove sono i documenti, le linee guida di queste politiche?”, io rispondevo “e quali documenti?”
Soprattutto nelle moderne evidenze che caratterizzano la società, guidata da ideali di proprietà e rituali d’individualismo, il compito del politico, a detta di Mimmo, non è la legittimazione del materialismo, dell’egoismo e del disinteresse per l’altro, ma l’educazione ad una ben più umana dignità dell’individuo, che contempla la sua intrinseca socialità e la sua naturale empatia. “L’accoglienza inizia su basi emozionali”, ha scoperto il sindaco.
È proprio la moderna tutela di un sistema competitivo e individualista che, in chiave più specifica, dà origine ai problemi dell’Italia. “La mafia è un effetto collaterale del neoliberismo”, e non del libero mercato e della libertà di autodeterminarsi, ma della libertà di arricchirsi ed inselvatichirsi a scapito del prossimo. Le mafie, nel loro frequente e deplorevole legame con la politica, non sono che il prodotto necessario di una società che mette le logiche della guerra economica di tutti contro tutti al di sopra dei più antichi e giusti valori della dignità umana. La società deve quindi rileggere i fondamenti stessi del concetto di individualità – che vede il suo estremo negativo nel moderno concetto di homo migrans – e la politica deve condurre ed esaudire quest’esperienza democratica e proletaria. Rievocando drammatici fatti di cronaca di cui egli stesso è stato inerme spettatore, Mimmo ricorda che non è un documento d’identità a renderci umani, poiché i diritti e i doveri che sono legati all’essenziale tutela della dignità umana, tra i quali figura l’ospitalità, non devono passare per l’accettazione, bensì per un’immediata e, perché no, acritica “simpatia” (nel senso greco di sympatheia, una coalizione sensibile ed esistenziale).
“Io voglio vivere in una società dove nemmeno i passaporti devono entrare”
Piuttosto che scavare nella nostra più genuina umanità, la politica dell’accettazione, che spesso si determina nella prassi del rifiuto, rievoca gli spettri di un antico guaio sociale: la tirannide, che vista da un’altra prospettiva è sottomissione. Se la democrazia è “natura al governo”, la tirannide è “artificio al comando”, la crudele costruzione di sovrastrutture che viziano e corrompono i più puri sentimenti umani, viziati e corrotti da smanie di egoismo e progetti genocidi.
Come Wim Wenders ricordava parlando di Mimmo Lucano, egli ha trovato il modo più spontaneo e virtuoso di conciliare due processi: il vantaggio locale, provinciale, regionale di ripopolare delle zone ormai disabitate, favorendo non solo l’integrazione, ma soprattutto l’osmosi e moltiplicazione degli spazi culturali; il vantaggio globale, idealmente contenuto nell’universale ma sempre istantaneo, occasionale sentimento di accoglienza. Non dire di accogliere, ma accogliere. Ad ogni nuovo arrivato, nessuna invenzione, nessuna matematica, nessun mestiere: solo una spontanea politica del sentimento. Il vantaggio economico e demografico s’impreziosisce di un concreto passo avanti nel destino morale dell’umanità. Un destino buono, perché buoni siamo tutti noi. E questa, per Mimmo, non è una previsione, ma un’anatomia della nostra natura più vera. La chiusura è sempre figlia di sospetto, pregiudizi, reazione ed interesse. L’apertura, nei fondamenti attivi di politiche democratiche, ha sempre il vantaggio di esser propria di ogni anima.
Conferenza di Mimmo Lucano a La Sapienza