La fotografia nella moda tra democratizzazione e condivisione

Instagram, ormai da qualche anno, è la meta prediletta di tutti gli appassionati di fotografia. Ha scalzato siti come Flickr, si è imposto come il social di riferimento delle fashion blogger, dei food blogger, rimanendo tuttavia amato dai giovanissimi e non solo, di tutto il mondo. Un portale dove condividere la propria vita in scatti, una finestra dove poter mostrare una parte della propria quotidianità tramite le stories, per poi controllare i propri fedeli voyeurs. Spesso si è parlato di ossessione per i like come fenomeno connesso all’ascesa dei social network, così come del dilettantismo dilagante nella fotografia. Ci sentiamo tutti fotografi, artisti, foodblogger ossessionati dalle luci della ribalta. Ma davvero è un fenomeno contemporaneo?

Oggi la questione non è come fare una foto, ma come diffonderla: gli artisti hanno sempre escogitato strategie per far circolare le immagini

Secondo Clémenet Chérouz, curatore della mostra Snap+Share, al San Francisco Museum of Modern art, ci sono delle pratiche proprie della diffusione delle immagini appartenenti all’era post internet, sicuramente, ma anche prima del suo avvento l’intento era sempre quello di far circolare l’immagine. Cento anni fa, esistevano già francobolli con l’immagine del mittente, senza contare il fenomeno delle cartoline. Tutti noi le abbiamo spedite durante le vacanze ai nostri amici, ancora negli ormai lontani inizi degli anni 2000. Poi è cambiato qualcosa: non abbiamo più stampato le fotografie, le macchine fotografiche sono diventate digitali, portando un grande aumento della qualità, fino ad arrivare all’unione nello smartphone. Ciò che cambia in questo passaggio, a detta del Senior Curator del museo, è la dematerializzazione, la non linearità tra mittente e destinatario, ora il messaggio arriva a tutti, non solo al nostro compagno di banco.

La moda non è mai stata ferma a guardare mentre la tecnologia avanzava. Nemmeno all’inizio del XX secolo, quando finalmente fu possibile stampare fotografie nelle riviste. La prima rivista a sfruttare le immagini fotografiche fu la francese La mode pratique. Nel 1909, poi, Condé Nast rilevò la rivista Vogue, dando un contributo fondamentale all’affermarsi delle foto di moda. Particolare attenzione fu fin da subito dedicata alla creazione degli ambienti per gli scatti, un processo nato dal barone Adolf de Meyer. Vogue fu immediatamente seguita dalla rivista Harper’s Bazaar, le due riviste rimasero sempre indiscussi leader nel settore nel corso degli anni ’20 e ’30. Molti fotografi si specializzarono nel genere della fotografia di moda, portando una grande qualità nel corso degli anni, sfruttando le riviste come vetrina principale per la loto attività. Impossibile non citare Edward Steichen, George Hoyningen-Huene, Horst P.Horst e Cecil Beaton, i quali trasformarono la fotografia di moda in arte. Con l’inizio della seconda guerra mondiale, si fecero largo i nomi di fotografi americani come Irving Penn, Martin Munkàscsi, Richard Avedon e Louise Dahl-Wolfe. Ancora apprezzati oggi, diedero una svolta ancora maggiore al modo di approcciarsi alla fotografia di moda. Abbandonarono gli schemi, le pose rigide, diedero libertà di movimento ai soggetti immortalati, che finalmente prendevano vita sotto agli abiti da promuovere.

Da sempre quindi, esiste il desiderio di condivisione, tuttavia ci vuole poco per scoprire che al giorno d’oggi questa volontà venga etichettata come morboso attaccamento ai social, al desiderio di mettersi in mostra o peggio, quando si parla di narcisismo digitale. In più ora, a differenza che nel passato, siamo tutti “abilitati” a pubblicare fotografie, la tecnologia necessaria è nelle tasche di chiunque e il livello potrebbe abbassarsi. Fortunatamente, le maison di moda non hanno mai trascurato la fotografia, che rimane un caposaldo. Importante nella promozione, fondamentale per affermare i valori e lo stile del brand. O forse… Qualcosa, infatti, ha colto l’attenzione dei più modaioli tra noi. Il profilo di Balenciaga ha subìto un grande cambiamento negli ultimi tempi. Fotografie al limite del dilettantismo, sfocate, poco chiare, di qualità bassa. Trascurata in ogni singolo post è anche la descrizione. Non pervenuti nemmeno gli hashtag, sebbene ogni post non riceva quasi mai meno di 80.000 likes. Etichettata da molti come una pagina meme dell’industria fashion, Balenciaga non sembra voler smettere di differenziarsi in un modo, indubbiamente, tutto suo. Tra smorfie, modelli presi dalla strada e per niente conformi agli standard di bellezza tanto cari alla moda, sembra quasi passare in secondo piano ciò che dovrebbe essere al primo posto: il brand, la sua collezione.

Quello che tutti notano è il comportamento, ciò che tutti conoscono è la fama crescente del brand lo ha portato nell’olimpo dello streetfashion. Una cosa, a giudicare dai commenti negativi, invece, sembra sfuggire al pubblico: è tutto decisamente voluto. Un movimento anti-fashion, indubbiamente, ma anche di anti-fotografia di moda. Si abbandonano quei concetti di preparazione dello scatto, dell’ambiente, arrivando alla rappresentazione più semplice e anche (intenzionalmente) veritiera dell’oggetto di moda. Nessuna posa plastica, nessuna scenografia da urlo, nessun modello dalla bellezza incredibile ma dal volto decisamente annoiato. Il divertimento è una componente fondamentale di questa operazione, il cui intento è forse quello di dare una visione “con i piedi per terra” della moda.

Da maggio 2018 il brand non ha postato altro che immagini semplicemente brutte per lo standard del social network. Tutti gli altri account di moda, da Gucci fino a Chanel, condividono contenuti di qualità, celebrità che indossano le loro creazioni, pubblicità con link per l’acquisto integrato, inseriti come tag su ogni prodotto della perfetta fotografia promozionale. Nulla di tutto ciò avviene nel profilo di Balenciaga. Provocatoriamente, troviamo borse da centinaia o migliaia di dollari, buttate nel bagagliaio di un furgone, fotografie di gambe con improbabili stivali di stoffa, quasi come se il modello (che diventa anche fotografo), fosse genuinamente confuso dal capo. Provocatorio, mai alienato nel cercare di ricreare una realtà perfetta e patinata, controcorrente rispetto a tutto quello che la fotografia di moda è sempre stata. Le persone vivono le creazioni Balenciaga, danno vita alla moda e la portano nella vita di tutti i giorni, dove l’imperfezione, si sa, regna sovrana.

Che lo si ami o lo si odi, il profilo di Balenciaga è anche uno specchio della società odierna all’interno dei social media: tutto può essere pubblicato, tutto può diventare virale. La scelta resta criticabile, tuttavia ponendosi ad un livello di rischio mai affrontato da un brand di moda così famoso, non ci sentiamo che elogiarne il coraggio. Che in fondo, il futuro della moda, sia meno idealizzato e perfetto del previsto?


 

 

 

 

 

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