Non solo il pianeta Terra: anche il tema stesso del cambiamento climatico si fa sempre più caldo. Una sorta di patata bollente, come si evince da alcuni dibattiti della politica d’oltre oceano, o dalle polemiche nostrane sui cortei studenteschi del 15 marzo. L’interesse da parte dell’opinione pubblica cresce, ma a che punto siamo sul fronte diritti? Perché è importante salvaguardare l’ambiente? A chi giova?
Un po’ di documenti
Nel 1948, all’indomani di uno dei periodi più bui della storia d’Europa, veniva sottoscritta la Dichiarazione universale dei Diritti Umani. Gli articoli 3 e 25 introducevano i diritti di ogni individuo alla vita, alla libertà ed alla sicurezza della propria persona, nonché ad un tenore di vita sufficiente a garantire la salute e il benessere proprio e della sua famiglia, con particolare riguardo all’alimentazione, al vestiario, all’abitazione, e alle cure mediche e ai servizi sociali necessari.
I riferimenti espliciti all’ambiente come diritto e fattore determinante per la salute arrivano solo a partire dal 1972. Durante la Conferenza di Stoccolma, i paesi Onu discutono per la prima volta di Ambiente Umano e di politiche ambientali internazionali. Vengono sanciti alcuni principi significativi:
“1. L’uomo ha un diritto fondamentale alla libertà, all’uguaglianza e a condizioni di vita soddisfacenti, in un ambiente che gli consenta di vivere nella dignità e nel benessere. Egli ha il dovere solenne di proteggere e migliorare l’ambiente a favore delle generazioni presenti e future.
5. Le risorse non rinnovabili della Terra devono essere utilizzate in modo tale da non rischiare il loro esaurimento ed in modo tale che i vantaggi derivanti dalla loro utilizzazione siano condivisi da tutta l’umanità.
6. Al fine di razionalizzare l’amministrazione delle risorse e di migliorare l’ambiente, gli Stati dovrebbero adottare una concezione integrata e sviluppata delle loro pianificazioni dello sviluppo in modo tale che il loro progresso sia compatibile con la necessità di proteggere e di migliorare l’ambiente, negli interessi della loro popolazione.”
Si sono poi susseguite dichiarazioni e convenzioni che hanno più o meno timidamente trattato il tema. Nel 1992 l’impegno per la salvaguardia dell’ambiente riceve uno slancio dal cosiddetto Summit della Terra di Rio de Janeiro. Vengono stipulati Accordi per la stabilizzazione delle concentrazioni di gas serra nell’atmosfera ad un livello che escluda pericolose ripercussioni causate dall’uomo sul sistema climatico e stabilite regolari conferenze (Cop) per controllare lo stato di avanzamento di questo impegno ed eventualmente ridefinirlo. Nella Cop24, tenutasi nel dicembre 2018 a Katowice (Polonia), non è stato semplice raggiungere un accordo. Il tentativo di alzare la posta in gioco con piani climatici più rigidi non ha trovato consenso unanime. Così, mentre gli scienziati parlano di poco più di una decina d’anni per evitare che il danno sia irreversibile, il debole compromesso raggiunto risulta insufficiente e delude.
Una questione di stato (sociale)
Per decollare, questi sforzi necessitano di una consapevolezza maggiore e più solida da parte della popolazione. Non tutti i fenomeni climatici estremi sono facilmente riconducibili al riscaldamento globale. D’altra parte non mancano disastri ambientali direttamente causati dall’uomo che possono essere toccati con mano dai più; per citarne solo un paio che legano Nord e Sud dello Stivale: il caso dei Pfas nel Vicentino e quello dell’Ilva di Taranto. Inoltre, la ricerca scientifica conferma l’impatto negativo dell’inquinamento sulla salute umana, anche per la comunissima esposizione ai gas di scarico delle auto; e non mancano inchieste e divulgazione in merito.
Tuttavia, nelle aule di governo di molti Paesi l’argomento sembra non essere ancora affrontato con la dovuta serietà. Quanto ai comuni cittadini, stili di vita ecosostenibili fanno ancora difficoltà a prendere piede, complici politiche ancora timide. Un circolo vizioso.
C’è, però, chi prova a marciare controcorrente. Un esempio è il Green New Deal, l’ambizioso piano per la svolta ecosostenibile degli Stati Uniti portato avanti dalla giovane deputata democratica Alexandria Ocasio-Cortez. Il piano, tuttavia, è reputato dai repubblicani fin troppo ambizioso, e costoso: tanto da essere schernito come “elitario”. La risposta di AOC getta, invece, ulteriore luce sul problema:
“La questione non riguarda un’élite, riguarda la qualità della vita! Volete dire alle persone che la loro preoccupazione e il loro desiderio per aria e acqua pulite è da élite? Ditelo ai bambini del Sud del Bronx che soffrono di asma ai livelli più alti del Paese. Ditelo alle famiglie di Flint [città del Michigan oggetto di un disastro ambientale, ndr] i cui bambini hanno livelli sempre crescenti di piombo nel sangue. I loro cervelli sono danneggiati per il resto delle loro vite. […] Le persone ne stanno morendo. Stanno morendo. […] La questione è seria. […] Riguarda le nostre vite, riguarda le vite degli americani. Non dovrebbe essere una questione di parte. La scienza non dovrebbe essere di parte.”
La Ocasio-Cortez sostiene che il costo del suo piano, per quanto alto, sarebbe comunque inferiore a quello di una sua mancata applicazione; in un Paese ancora lontano da un sistema sanitario nazionale accessibile a tutti, infatti, le conseguenze dell’inquinamento vanno ad aggravare i costi delle già onerose assicurazioni sanitarie. Inoltre, resta in ballo il costo inestimabile delle vite umane che le cure possono non essere in grado di salvare.
(A) Chi tocca?
Che a risentire del cambiamento climatico siano soprattutto le fasce più deboli della popolazione mondiale è sempre stato chiaro. Già nella Dichiarazione di Stoccolma (1972) molta attenzione veniva posta sui paesi in via di sviluppo: l’Onu riconosceva come le economie avanzate scontassero il loro progresso su di essi. Come? Uragani, inondazioni ed altre calamità naturali non consuete e particolarmente violente che, in queste parti del mondo, mietono costantemente morti e feriti. Per questo Amnesty International parla di rischio di violazione dei diritti umani su larga scala.
Oltre che le più vulnerabili, le persone colpite sono anche le meno responsabili di questi eventi, e persino quelle meno in grado di gestirli e contrastarli. Non si pensi, però, che questa realtà riguardi solo il cosiddetto Terzo Mondo, anzi. Negli Usa va sotto il nome di environmental racism, letteralmente “razzismo ambientale”. Si tratta, in sostanza, della scelta di collocare attività (industriali e non) pericolose per la salute nei quartieri di minoranze povere. Altri casi possono essere, viceversa, la collocazione di comunità minoritarie in territori meno appetibili e soggetti a eventi meteorologici estremi; e la delocalizzazione di impianti industriali inquinanti in Paesi più poveri dove i controlli sono più scarsi.
Questo tipo di discriminazione trova riscontro nelle ricerche scientifiche sulla salute degli abitanti di questi quartieri. The Lancet, una delle riviste di ambito medico più autorevoli al mondo, parla della questione in questi termini:
“Le comunità più benestanti riescono ad opporsi con successo alla costruzione di siti potenzialmente dannosi per l’ambiente — con campagne spesso contraddistinte dall’approccio Nimby [“Non nel mio giardino”, ndr] — mentre le comunità minoritarie, che solitamente hanno meno mezzi politici, economici e legali a loro disposizione, hanno meno possibilità di fare lo stesso. Il rischio di un’opposizione collettiva spinge le compagnie e le organizzazioni in cerca di siti per le proprie operazioni rischiose a scendere al compromesso della minor resistenza possibile, peggiorando ulteriormente la situazione delle comunità già svantaggiate. […] I problemi circa il razzismo ambientale mostrano che problemi sociali e ambientali non possono essere nettamente separati tra loro.”
In conclusione, risulta sempre più evidente che quello ad un ambiente sano e salubre dovrebbe essere un diritto fondamentale. Finché non sarà come tale riconosciuto e tutelato, la marcia per i diritti non potrà dirsi conclusa.
Dichiarazione universale dei diritti umani
Osservatorio Diritti 1, 2
Dichiarazione della Conferenza delle Nazioni Unite a Stoccolma
Accordi di Rio (UNFCCC)
Guardian 1, 2, 3
Il Sole 24 Ore
WHO
Amnesty International
The Lancet
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