Con l’espressione procreazione medicalmente assistita (PMA) ci si riferisce a tutti i metodi chirurgici, ormonali, farmacologici o di altro tipo che permettono di aiutare gli individui a procreare. Il ricorso alle tecniche di PMA nel nostro Paese è regolamentato dalla Legge 40 del 2004. Si tratta di una normativa contestata fin dall’inizio: infatti nel 2005, c’è stato un referendum abrogativo ma, a causa del mancato raggiungimento del quorum, è risultato senza esito. Negli anni, la stessa è stata sottoposta a continue e radicali modifiche in seguito a interventi da parte della Corte Costituzionale, della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo o di singoli Tribunali Italiani. Inizialmente, il testo prevedeva che l’accesso alla fecondazione assistita fosse riservato alle sole coppie sterili con componenti maggiorenni, di sesso diverso, coniugati o conviventi, in età potenzialmente fertile ed entrambi viventi. Nel 2015, però, una sentenza della Corte Costituzionale ha dichiarato illegittimo il divieto di accesso alle coppie fertili portatrici di malattie genetiche trasmissibili, che in precedenza potevano decidere di interrompere l’eventuale gravidanza di un feto malato, ma non potevano accedere a tecniche per individuare embrioni sani da impiantare. Le tecniche di PMA in Italia, tuttavia, sono ancora precluse ai single, alle coppie omosessuali e alle donne in età avanzata (la legge non specifica un’età limite, ma i paletti del divieto sono fissati in corrispondenza di menopausa e andropausa). Ad esempio, le coppie omosessuali per avere un figlio tramite la maternità surrogata devono rivolgersi a alcuni Paesi esteri che permettono questo tipo di PMA. Vietata, infine, la fecondazione post mortem, cioè l’utilizzo degli spermatozoi di un marito o compagno deceduto.
Riconoscimento legale figli di coppie gay in Italia
Nel nostro Paese non è prevista una legge che dichiari entrambi genitori legali. Infatti, il figlio nato con PMA viene registrato a nome di un unico genitore, come genitore single. Non è passata la proposta di legge della stepchild adoption, che prevede il riconoscimento, come genitore adottivo, del compagno di un genitore biologico.
In Italia la stepchild adoption per coppie eterosessuali è disciplinata sin dal 1983 con la legge 4 maggio 1983, n. 184 “Diritto del minore ad una famiglia” e permette l’adozione del figlio del coniuge. La stepchild adoption per coppie omosessuali è stata riconosciuta per via giurisprudenziale già dal 2014. La legge sulle unioni civili approvata nel maggio 2016, promossa dalla parlamentare Monica Cirinnà, includeva la clausola del riconoscimento della stepchild adoption, che avrebbe regolamentato tutti i bambini figli di coppie omogenitoriali, tra le quali vi è un’alta incidenza di minori nati da gravidanze surrogate. Questa clausola, tuttavia, non è stata approvata; ma all’articolo 3 si specifica che “resta fermo quanto previsto e consentito in materia di adozioni dalle norme vigenti”. Perciò spetta alla magistratura pronunciarsi caso per caso sul tema delle adozioni per le coppie gay. Nel 2014 il Tribunale dei Minori di Roma, la Corte d’Appello di Torino e la Corte di Cassazione, partendo dal presupposto che nessuna legge esprime esplicitamente il divieto per un genitore omosessuale di richiedere l’adozione del figlio del partner, stabilì che “considerando che l’obiettivo primario è il bene del minore”, i bambini hanno il diritto a conservare nei confronti del “secondo padre” lo status di figli loro riconosciuto in un Paese straniero per effetto del provvedimento giudiziario legittimamente emesso in quello Stato.
I primi passi della giurisprudenza italiana
Con la sentenza n. 12962 del 2016 c’è stato un primo via della Suprema Corte di Roma all’adozione del figlio del partner nelle coppie omosessuali. La prima Sezione Civile della Corte di Cassazione ha accolto la domanda di adozione di una minore (nata in Spagna con una procedura di procreazione assistita) proposta dalla partner della madre, con lei convivente in modo stabile, appellandosi all’adozione in casi particolari prevista dall’art. 44 della legge 184 del 1983. I giudici della Suprema Corte, nel confermare l’adozione della coppia di donne omosessuali, hanno affermato:
Questa adozione non determina in astratto un conflitto di interessi tra genitore biologico e il minore adottato, ma richiede che l’eventuale conflitto sia accertato in concreto dal giudice”. Inoltre, questa adozione prescinde da un preesistente stato di abbandono del minore e può essere ammessa sempreché, alla luce di una rigorosa indagine di fatto svolta dal giudice, realizzi effettivamente il preminente interesse del minore.
La Corte non ha quindi creato un nuovo diritto ma ha offerto copertura giuridica a una situazione preesistente.
La storica sentenza della Corte di Appello di Trento
Il 23 febbraio 2017, per la prima volta in Italia viene riconosciuta a due uomini – uno padre biologico e l’altro no – la possibilità di essere considerati entrambi genitori legittimi di due gemelli nati negli Usa grazie a una maternità surrogata. È questo il senso innovativo dell’ordinanza emessa dalla Corte d’appello di Trento, che ha definito il giudizio con il quale si chiedeva il riconoscimento di una sentenza straniera in modo da superare il diniego alla trascrizione del nominativo del partner non padre biologico indicandolo come «secondo padre». L’ufficiale di stato civile italiano aveva infatti respinto la richiesta di inserimento nello stato civile ritenendo «contrario all’ordine pubblico» il provvedimento, asserendo che in base alla normativa vigente, i genitori devono essere di sesso diverso. La sentenza di Trento ha affrontato in prima battuta la questione degli interventi del Procuratore generale e del ministero dell’Interno, che avevano espresso in giudizio la loro contrarietà all’accoglimento della domanda. Il primo aveva eccepito l’incompetenza della Corte di Trento e richiamato la vigenza della legge Cirinnà che non consentirebbe un’interpretazione nel senso favorevole; il ministero osservava come «in assenza di alcuna relazione biologica fra il (secondo) padre ed i minori, discendenti biologici solo del primo, la pretesa di riconoscimento a tutti gli effetti della piena qualifica di padre dei minori, in aggiunta ed in concorso con il padre biologico, contrasta con l’ordine pubblico, poiché le norme codicistiche sulla filiazione evidenziano come nell’ordinamento italiano ai fini della definizione del concetto giuridico di padre assuma decisivo rilievo l’elemento della discendenza genetica». La Corte d’Appello di Trento, però, ha affermato che:
il mancato riconoscimento dello status filiationis nei confronti del padre non biologico determinerebbe un evidente pregiudizio per i minori, che non vedrebbero riconosciuti in Italia tutti i diritti che a tale status conseguono. Inoltre la tutela di questo principio supera ogni richiamo anche al divieto della procedura dell’utero in affitto perché la rilevazione della difformità della pratica fecondativa per effetto della quale sono nati i minori – rispetto a quelle ritenute lecite dall’attuale disciplina della Pma, non potrebbe determinare la negazione del riconoscimento ai minori dello status filiationis legittimamente acquisito all’estero.
Il punto della situazione
In conclusione possiamo dire che non solo in Italia la PMA per le coppie omosessuali non è ancora legale, ma non esiste nemmeno nello specifico una legge che disciplini il riconoscimento di figli nati secondo queste tecniche di procreazione. Spetta dunque ai giudici il compito di decidere in merito. Ad oggi, i tribunali italiani hanno concesso circa 300 riconoscimenti a figli di coppie gay, ma il nostro ministro per la Famiglia e le Disabilità, Lorenzo Fontana, appoggiato dal ministro dell’Interno Matteo Salvini, si è mostrato contrario sin dal suo insediamento sia alla PMA che al riconoscimento di figli a coppie dello stesso sesso, sostenendo che:
La maternità surrogata è vietata in Italia anche penalmente perché non si possono mercificare bambini e donne. Inoltre è vietato riconoscere i bambini concepiti all’estero da parte di coppie dello stesso sesso.
Queste dichiarazioni, ovviamente, dividono non solo il popolo italiano ma anche la magistratura e la politica, e molti sindaci (tra cui quelli di Milano, Torino e Firenze) hanno dichiarato che continueranno a trascrivere nei registri dello stato civile i nomi di bambini di coppie omosessuali.