Censurare Michael Jackson dopo il documentario “Leaving Neverland”?

Leggenda

Michael Jackson è stato uno degli artisti più importanti e influenti nella storia della musica internazionale. Incredibile voce, straordinario ballerino (iconico il suo moonwalk) e impareggiabile performer. Nato a Gary, Indiana, nel 1958, Michael Joseph Jackson, settimo di dieci fratelli, muore improvvisamente nel giugno 2009. Stava preparando il suo farewell tour, This Is It, che si sarebbe svolto a Londra da lì a pochi mesi. Sarebbe giusto ravvivare la memoria di Jacko parlando della sua carriera, partita come frontman dei Jackson 5, e proseguita come solista per ulteriori sette progetti tra il 1979 e il 2001. Thriller, in particolare, uscito nel 1982, rimane la sua opera magna: trentasette settimane in cima alla classifica USA, sette singoli estratti, ma soprattutto ancora oggi risulta l’album più venduto nella storia della musica, con lo strabiliante record di 110 milioni di copie vendute. Sarebbe giusto parlare di questo, oppure dell’influenza che un tale artista ha avuto su chi è venuto dopo di lui – Jason Derulo e Bruno Mars sono due dei maggiori esempi tra quelli che esplicitamente si rifanno alla sua arte – invece si vuole raccontare quello che è successo dopo l’uscita del discusso documentario Leaving Neverland, diretto e prodotto da Dan Reed.

I Jackson 5 negli anni ’60. Michael è al centro
La bomba mediatica

A Neverland, principale residenza del cantante, circa tre ore di macchina da Los Angeles, il cantante aveva fatto costruire un enorme parco divertimenti, in cui invitava piccoli ospiti a giocare. Ha sempre amato circondarsi di bambini, proprio lui che, divenuto famoso a soli sei anni, una vera infanzia non l’aveva mai vissuta. Per dare un’idea più precisa di quest’ultima frase, ricordiamo che in più di un’occasione Jackson affermò che durante i tour con i fratelli, alcuni molto più grandi di lui, capitava di dormire nella stessa stanza, o addirittura in certi casi nello stesso letto con un fratello, mentre questo faceva sesso. Nelle stesse occasioni, inoltre, non risparmiò dure critiche al padre, colpevole secondo lui di essere stato molto violento durante gli anni della sua formazione. Il documentario è incentrato sui presunti abusi sessuali che Michael Jackson avrebbe perpetrato nei confronti di due bambini di 7 e 10 anni, oggi trentenni, ed è stato trasmesso in anteprima il 25 gennaio al Soundance Festival nello Utah. La vera bomba mediatica è scoppiata dopo la trasmissione su HBO (USA), del 3 e 4 marzo, e quella su Channel 4 (UK), del 6 e 7 marzo. Per quanto riguarda l’Italia, Leaving Neverland è andato in onda sul canale 9, il 19 e 20 marzo.

L’inizio della fine

Già in vita MJ fu spesso oggetto di scandali extra musicali. Primo fra tutti quello del 1984, momento in cui la sua vita cambiò per sempre, proprio mentre era sul suo adorato palcoscenico. Durante uno spot della Pepsi, suo storico sponsor, un errore legato ai roboanti effetti speciali previsti gli provocò una serissima ustione alla testa, che per un po’ andò letteralmente in fiamme. Da lì partì un calvario che non lo abbandonò mai. Da un lato si instaurò un legame con gli antidolorifici, inizialmente necessario, poi evoluto in una dipendenza, che purtroppo causerà anche la sua stessa morte (dettata per la precisione anche da un errore del medico curante nella somministrazione). Dall’altro lato i primi interventi chirurgici, anch’essi in un primo momento del tutto giustificati dalla gravità dell’accaduto, ma che poi divennero un’ossessione, specie quelli al naso. Il decennio degli anni ’80 gli lasciò in sorte il poco simpatico nomignolo “Wacko Jacko” (Jacko il matto), oltre a fastidiosi rumors in merito allo schiarimento del colore della pelle (la principale ragione si scoprirà poi essere la vitiligine).

I primi segni della vitiligine, anni ’80
Al di là della musica

I primi anni ’90 coincisero poi con il primo atto d’accusa di pedofilia da parte di un ragazzo chiamato Jordan Chandler. Da lì, partì un gate che si concluse con un accordo extra giudiziale. In poche parole, l’entourage della star pagò la famiglia del ragazzo per fare sì che le indagini non andassero avanti. Celebre è rimasta l’intervista con Oprah Winfrey, in cui il cantante aprì per la prima volta al pubblico le porte di Neverland, respingendo categoricamente ogni tipo di accusa, parlando apertamente dopo un silenzio durato anni. Nel 2003 accuse simili tornarono alla ribalta dopo le dichiarazioni di un altro ragazzo, di dodici anni. Anche questa volta il tutto si concluse con un nulla di fatto, dopo due intensi anni di processo, nel 2005. Uno dei testimoni chiave in quell’occasione, oltre al protagonista di Mamma ho perso l’aereo Macaulay Culkin, fu proprio Wade Robson, il quale si dà il caso sia proprio uno dei due protagonisti di questo documentario. Tornando a oggi, nel giro di pochi giorni, feroci commenti e opinabili interpretazioni si sono alimentati fino a raggiungere un’eco impressionante. Come spesso accade in questi casi, può capitare che un’idea riproposta con insistenza sui social media in breve tenda a rassomigliare a verità, a un dato di fatto. Addirittura, come segnalato dal «The Times», la BBC Radio 2, e con lei molte radio minori, è arrivata ad azzerare il passaggio delle canzoni di Michael Jackson. Poi una puntata dei Simpson, intitolata Starking Raving Dad e datata 1991, che lo vedeva protagonista, è stata temporaneamente cancellata dove possibile. Infine, la casa di moda Versace aveva prodotto una linea ispirata al cantante, ma ora è stata tolta dal mercato. Il rapporto tra Versace e il cantante è stato molto forte in vita, a tal punto che nel giorno del funerale del cantante, a Donatella Versace venne chiesto di vestire tutto il “clan” Jackson.

MJ con Safechuck all’epoca in cui si sarebbero svolti i fatti
Gli accusatori

Wade Robson (Brisbane, 1982) conobbe il suo idolo, grazie a cui aveva iniziato a ballare, durante un concerto in Australia quando il bambino aveva solo sette anni. Da lì, una frequentazione che durò per ben sette anni. L’influenza del King of Pop fu tale nella vita di Robson che la madre e la sorella si trasferirono in California per permettere al ragazzo di seguire il suo sogno di diventare ballerino, oltre che per poter stare più vicino al suo “amico” speciale. Con questo gesto, col senno di poi, la famiglia Robson si sfaldò senza possibilità di ritorno.
James Safechuck (Simi Valley, 1978), invece, conobbe il cantante in quanto protagonista di uno spot per la già citata Pepsi. Amante dei gioielli, durante Leaving Neverland egli mostra, tra i vari regali ricevuti da MJ negli anni, un prezioso anello che avrebbe dovuto sancire “il matrimonio” tra le parti. Tra i due ragazzi, quello che più ha beneficiato della presenza della popstar nella sua carriera è stato l’australiano. Fin dalla fine degli anni ’90 infatti, egli è diventato uno dei principali coreografi nel mondo delle performing arts americane, collaborando principalmente con Britney Spears e Justin Timberlake.

Wade Robson, Dan Reed e James Safechuck nel 2019
A voi la scelta

Entrambi gli accusatori sono oggi felicemente sposati e sono entrambi padri. Per decenni, nessuno dei due ha mai avuto il coraggio di denunciare. Fatto ancora più curioso, nessuno dei familiari si è mai reso conto di niente, malgrado molti di questi, specie le madri – come si evince dal documentario – fossero spesso presenti a Neverland. Le dinamiche del racconto delle due esperienze, delle due relazioni, sono veramente simili. Prima invitati e ammaliati nella dimora, posto incantato e fuori dal tempo. Poi, piano piano, separati dalle rispettive madri, e dal resto delle famiglie, convinti, assai agevolmente, a dormire con un adulto semi-sconosciuto, benché superstar. Negli anni, malgrado le tecnologie dell’epoca, tramite interminabili telefonate (alcune di queste si ritiene durassero 6 o 7 ore) e continui fax, la distanza non impedì che il sentimento rimanesse acceso. Addentrarsi più nello specifico di che cosa venisse detto nelle telefonate significherebbe da un lato riportare racconti non appurati e dall’altro analizzare contenuti che potrebbero risultare molto scabrosi. Se interessati, l’invito è di recuperare il documentario.

Neverland. O meglio, una parte di Neverland
Un’eredità irrinunciabile

Durante la sua carriera, Michael Jackson è stato in grado di vendere un miliardo di copie tra album, compilation, live e singoli. Per dare un’idea, solo Elvis Presley e The Beatles, le cui carriere iniziarono però venti o trent’anni prima, gli sono superiori in termini commerciali. Smettere di tramandare un tale patrimonio, così fondamentale nella cultura pop non solo statunitense ma mondiale (i soli tre tour di MJ, nel 1987, 1993 e 1997, toccarono ogni angolo del pianeta, tra cui più volte l’Italia), è una questione sulla quale bisogna ragionare. La decisione non può essere presa in breve tempo solo perché si è condizionati dall’emotività del momento. Qualcuno potrebbe asserire che si tratti di una vera e propria forma di censura. Un’azione di questo tipo sarebbe difficilmente accettabile in qualsiasi altra circostanza, vista la portata dell’opera in questione, ma ancora meno condivisibile rispetto a un capo di accusa che, per quanto verosimile e serissimo, ritorna in auge proprio in corrispondenza del decimo anniversario dalla morte. D’altro canto, le quasi quattro ore di film documentario tolgono il fiato e non possono non far sorgere dei dubbi. Inoltre, le vicende sarebbero accadute nella dimora ottenuta proprio grazie alle finanze derivanti dal suo lavoro come cantante. E’ possibile scindere le due cose?

Un’idea di che cosa fosse la promozione di un tour del King of Pop
Il contraltare

Un altro tema è la (quasi) totale mancanza di contraddittorio in Leaving Neverland. C’è una complessità che deriva dal parlare di cose avvenute quasi trent’anni fa e in cui una delle parti coinvolte, l’accusato, è ormai deceduta; e c’è una mobilitazione dei fan, che fin dalle prime voci di un eventuale documentario sulla faccenda hanno fatto fronte comune per tutelare la memoria del loro idolo, anche le persone più vicine a MJ, i legali, gli eredi e i collaboratori, non sono rimasti immobili. Nelle ore successive alla messa in onda da parte di HBO, è stata infatti sporta denuncia. Però il regista Dan Reed pensa che dopo le parole di Wade e James saranno molte altre le vittime che troveranno il coraggio di testimoniare. La questione è dunque ben lontana dall’essere risolta.

Uomo e artista

Si può concludere che chi entra a far parte dello star system deve sì “accettare” di avere sempre una lente d’ingrandimento puntata addosso e questo è da considerarsi legittimo anche dal punto di vista dei media; ma viene comunque spontaneo domandarsi se sia corretto, nel momento in cui ci si occupa di veicolare un determinato messaggio, mischiare l’uomo con l’artista. La vita del King of Pop è stata anomala fin dalle origini. Se alcuni aspetti non sono stati chiariti in una vita durata troppo poco, ma comunque più di mezzo secolo, viene difficile pensare che ciò possa accadere ora.

Lungi dal voler prendere una posizione, va per dovere di cronaca ricordato che nella storia dell’umanità ci sono sempre stati geni che hanno lasciato un segno indelebile con la loro arte, intesa in tutte le sue forme, malgrado una condotta del tutto deprecabile. Da Caravaggio a Bill Cosby, da Maradona a Roman Polanski, gli esempi che si potrebbero citare sono innumerevoli. Una simile lista fa capire quanto complicato sia quello che sta accadendo ora riguardo MJ. Sarebbe corretto lasciare queste due sfere del tutto separate? Si eviterebbe certo di semplificare e demonizzare dinamiche per loro natura spinose. Allo stesso tempo è giusto che le vittime vadano tutelate. La musica di Michael Jackson rimane e rimarrà. Dall’altro lato è di nuovo ora che la giustizia faccia il suo corso. Ricordando che già due volte si espresse a favore del cantante in passato. Al lettore la responsabilità di giudicare e farsi un’opinione.

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