Sanno bene cosa significa perdere un figlio, o quasi, tre grandi mamme che sono state costrette a conoscere il dolore più immenso per una madre. La prima sicuramente nota è Paola Deffendi, madre di Giulio Regeni rapito il 25 gennaio 2016 al Cairo, Egitto e infine ucciso dopo indicibili torture. Ricordiamo poi Alessandra Verni, madre di Pamela Mastropietro prima scomparsa da una comunità terapeutica, perché dipendente da droghe, e poi uccisa da membri della mafia nigeriana il 30 gennaio 2018, secondo un rituale metodico e rivoltante che ha massacrato il corpo della giovane 18enne. Infine prendiamo ad esempio Felicia Perkins, la mamma di due bambini, Ayyub Ferreria e Mahmoud, caduti tra le grinfie dell’Isis a causa del coinvolgimento del padre, il quale nel 2014 era diventato un combattente tra le file dei miliziani jihadisti.
Seppur ognuna di esse abbia una storia diversa, la determinazione e l’ostinatezza le accomuna. Lungo il loro destino hanno dovuto fronteggiarsi contro tre esperienze differenti ma simili nel dolore provato. La madre di Giulio Regeni, sin dalla morte del figlio, ha cercato giustizia, dedicando le sue energie alla ricerca dei carnefici del figlio e impegnandosi in una lotta che sembra, tre anni dopo, senza fine e senza una via d’uscita a causa dei depistaggi e del silenzio provenienti dall’Egitto. Eppure, nonostante l’insormontabile processo che non giunge mai a termine, una madre come Paola e come tante altre, ha messo da parte la sua intimità, la sua vita e il suo dolore privato, per combattere una lotta contro un sistema che non accetta al suo interno giovani come Giulio, nati con uno spirito aperto, impavido ed esploratore.
Probabilmente la parola sconfitta non compare nel vocabolario di Paola Regeni e questa suo carattere così deciso e inscalfibile ha fatto sì che tutto il mondo si mobilitasse per fare giustizia a suo figlio attraverso manifestazioni, fiaccolate e migliaia di eventi organizzati da Paola e da Claudio, il padre di Giulio.
La tenacia di Alessandra fa commuovere, nonostante sul corpo della figlia si sia concentrato quanto di più impensabile e animalesco, infatti in un’intervista di febbraio a Mattino Cinque lei stessa dichiarava:
“Quello che è stato fatto a Pamela non è solo violenza, è molto di più. Io e la mia famiglia siamo pronti a dare battaglia”.
La storia di Felicia Perkins invece, seppur abbia fortunatamente un lieto fine, racchiude cinque anni di dolore che questa madre ha dovuto affrontare prima di riabbracciare i propri figli, di 7 e 11 anni, strappati dai Caraibi e portati in Siria dal padre perché miliziano dell’Isis e da allora Felicia non ha più potuto riabbracciare Ayyub e Mahmud. Quando il padre è morto nel 2017, presumibilmente in campo di combattimento, i due bambini sono stati abbandonati sul ciglio della strada dalla nuova moglie belga del padre e così i minori sono stati trasferiti a Camp Roj, Siria.
Una madre a cui viene strappato un figlio è un individuo a metà, perde una parte inscindibile della propria essenza, che proprio da questa è stata creata, ma sempre da qui nascerà quella voglia di dichiarare guerra contro tutto e tutti, di attraversare infinite nazioni, di fronteggiare un esercito di nemici e di far capire al mondo intero che essere madri significa innanzitutto essere guerriere.