Architetture imponenti, decorazioni floreali ed eclettiche, un cuore verde nel centro di Milano. Descrivere brevemente il quartiere di Porta Venezia non è facile, soprattutto quando lo si può visitare durante la Design Week. Gli splendidi palazzi hanno aperto le loro porte ai visitatori, i quali non sono rimasti incantati solo dalle istallazioni, ma anche dall’inestimabile valore della location.
Objects Nomades
Cominciamo con Palazzo Serbelloni, in Corso Venezia 16, uno dei primi edifici patrizi costruiti lungo il corso. Nel XVIII secolo viene completamente ristrutturato, utilizzando la vecchia base medioevale e realizzando infine un’architettura neoclassica che custodiva al suo interno un vasto giardino. Il marchio luxury Louis Vuitton ha scelto proprio questo luogo per esporre Objets Nomades in una cornice mozzafiato. La scenografia appare come un perfetto connubio tra gli specchi maestosi, dagli infissi dorati, e le lampade contemporanee che riempiono il soffitto. Il risultato è realizzato attraverso un gioco di riflessi, il quale (forse ingenuamente) distrae l’osservatore dalle opere stesse. La collezione nasce nel 2012 e riesce ad arricchirsi con il tempo con oggetti che esprimono al meglio lo spirito avventuriero del fondatore del marchio, magistralmente reinterpretato dai designer più talentuosi degli ultimi decenni. La collezione conta ad oggi 40 oggetti e può vantare collaborazioni con India Mahdavi, Tokujin Yoshioka, Raw Edges, Barber & Osgerby, Nendo, Maarten Baas, Patricia Urquiola, Marcel Wanders, Atelier Oï, Fernando e Umberto Campana. Il titolo “Nomades” è essenziale per comprendere lo spirito dell’intera installazione: l’artista contemporaneo che ancora non smette di errare alla ricerca di qualcosa in più che lo colpisca. Da qui l’idea di sviluppare la mostra lungo diverse stanze. L’arte non si può circoscrivere, è in continuo movimento. Gli oggetti nomadi di Louis Vuitton sono trasformabili e senza collocazione fissa. Tra le varie esposizioni è giusto riportare la poltrona Bulbo, nata da una collaborazione con i fratelli Campana; il paravento Mandala firmato da Zanellato/Bortotto; per ultimo il tavolo Anemona, progettato dall’Atelier Biagetti in modo tale che ricordasse la liquidità del mare Adriatico.
Elle decor at work
Continuiamo con un altro edificio storico che si staglia poco più avanti lungo il viale, in Corso Venezia 51, Palazzo Bovara. Anch’esso in stile neoclassico è diventato celebre soprattutto dopo il periodo napoleonico, in cui è diventato sede della ambasciata Francese. Nelle sue stanze, la rivista Elle Decor ha realizzato un percorso attraverso il tempo, in cui vengono analizzati i diversi stili di arrendamento d’ufficio fino ad arrivare alla contemporaneità, grazie alle collaborazioni con: DWA Design Studio, responsabile dell’exhibition design, AKQA dell’interaction design e Marco Bay del progetto di landscape design.
“Per ‘Elle Decor at Work’ abbiamo ricreato ambienti, immaginati sulla scia di ricerche su modelli, tipologie e paradigmi contemporanei, che hanno modificato – e continuano incessantemente a ridefinire – i codici degli spazi di lavoro. Codici che non tracciano più confini precisi, ma traducono l’idea di un design diffuso tanto nell’ufficio quanto in contesti più domestici.”.
La prima parte della mostra è dedicata alle novità: riproduce un ufficio open space, dalle scrivanie ondulate e continue, accessori bizzarri e lunghe mensole ricoperte di piante. Proseguendo si incontra un piccolo bar, in cui potersi rilassare; poi The Exchange, dove le modalità del meeting trovano soluzioni: dalla più informale alla più avanzata; poi il Theatre, spazio in cui viene decostruito il concetto di partecipazione a una conferenza, grazie all’enorme schermo multimediale; Nap Room e Studio in cui viene analizzato a fondo il concetto di ufficio ibrido, unendo elementi tipici di una casa con quelli di un ufficio. Forse una metafora di un lavoro che non ti abbandona mai? O di un posto di lavoro che ti fa sentire a casa? La zona che suscita molta nostalgia nei visitatori è The Archive, un vero caveau multimediale che racconta l’evoluzione dei luoghi di lavoro dagli anni ’50 a oggi attraverso i progetti degli spazi e degli arredi più rappresentativi di sempre esposti in grandi contenitori dorati, sulla base della ricerca condotta in collaborazione con la storica del design Porzia Bergamasco.
Doppia Firma
È all’interno di Palazzo Mozart, un edificio interamente ricoperto di edera e piante rampicanti, che si è svolta la quarta edizione della mostra di Doppia Firma, organizzata dalla Michelangelo Foundationfor Creativity and Craftsmanship. Gli oggetti sono esposti in due sale principali, nelle quali si riescono comunque a distinguere alcuni elementi delle vecchie decorazioni, come per esempio i mastodontici camini in marmo. Ciò che unisce le varie installazioni disponibili al pubblico e realizzate dai più famosi designer internazionali è la ricerca della bellezza, la valorizzazione della visione creativa e l’incontro tra l’immagine e il saper fare. Tra i vari oggetti esposti possiamo incontrare “Space Wake II/Polar Landscape” realizzata in pietra di basalto dallo scultore danese Peter Bremers, il quale si è ispirato alla natura e all’incontro tra i popoli; “Inversi” creata in porcellana di Arita dagli italiani Gabriele Pardi e Laura Fiaschi per unire il design italiano con la poetica giapponese; “Butterfly”, dalla mente di Antoine Leperlier, una lampada che riprende i colori del cielo e la forma di una farfalla. È proprio questa figura della farfalla dalla vita estremamente fragile che crea il gioco semantico tra luce e buio, tra giorno e notte, poichè essa vive sia di giorno sia di notte, in quanto ibrido scultore.
Shape of Gravity
Per ultimo, passando dalla meravigliosa villa Necchi Campiglio, un tesoro di Milano visitabile tutto l’anno insieme alle altre case museo, ci ritroviamo all’Istituto dei Ciechi di Milano, il quale ha accolto la mostra “Shape of Gravity- Nendo per Wonderglass”
“In a way, doing less and achieving more is the most complicated thing to do”
L’installazione è nata dal fascino che Oki Sato, fondatore di Nendo, ha riscontrato osservando la lavorazione del vetro fuso. La sua intenzione era di riprodurre quel passaggio di lavorazione in un oggetto di design, dando l’impressione di osservare un lenzuolo fatto di vetro. L’intero progetto si basa sulla difficoltà che questa particolare arte d’artigianato incontra, ovvero determinare l’equilibrio perfetto tra il tempo e la temperatura. Le opere principali sono un lampadario, tavoli e sedie. L’istituto, situato in Via Vivaio 7, è aperto durante l’anno e offre l’opportunità di vivere un’esperienza lontana dalla nostra normalità attraverso un “Percorso nel buio”.
Spostandosi tra un palazzo e l’altro non bisogna dimenticarsi di alzare lo sguardo e ammirare i diversi palazzi in stile liberty, notando ogni volta dettagli nuovi e immaginando una Milano di inizio Novecento in piena espansione.