Il Parigino che “inventò” la pittura

“Un senso del gusto dà la misura di tutte le cose”.

Nell’estate del 1888 il giovane Paul Sèrusier, uno dei geni più vividi del cosiddetto post-impressionismo, apprese un nuovo modo di fare arte dal già celebre Paul Gaugin. Nei suggestivi paesaggi di PontAven il maestro insegnò all’allievo a non camuffarsi da pittore, lavorando piuttosto per scoprire in se stesso un’intima caratura stilistica, stimolando la propria abilità d’inventare. Il genio, apprenderà Sèrusier, risiede nell’occasionale spirito creativo, nel bagaglio senza norme di un’esperienza di vita, nel mondo tutto privato e soggettivo dell’individuo singolo.

Liberandosi dalla costrizione imitativa della pittura, dal peso degli stilemi da Salon, l’arte si sarebbe presentata al nuovo artista e uomo nuovo come uno spirito di scorta, una dinamica estensione del proprio Io nell’universo della rappresentazione. Figlio di questa scoperta sarà il Talismano, un paesaggetto su una scatola di sigari, polo attrattivo di quella scuola che si verrà a creare intorno alla sua venerazione: la setta artistica, filosofica ed esoterica dei Nabis. Esponendo il Talismano come un organo vivente, un’anima periferica scoperta nell’emergere di un genio spontaneo, Sèrusier ha insegnato ai suoi amici parigini a cercare nell’arte il modo più vero di fare arte: il proprio. Banale ma insopprimibile massima che lo rese il più originale pittore parigino del suo tempo.

Sèrusier fu inoltre un grande teorico della pittura, lavorando in chiave teorica su quel genio che produceva i suoi capolavori. Nel 1921 pubblicò l’ABC de la peinture, importante libricino di teoria estetica spesso associato, nelle soluzioni e nei motivi, al ben più celebre Lo Spirituale nell’arte di Kandinskij o all’opera estetica di Klee. Quello del ’21 è un manifesto della libertà creativa, utile ad associare l’opera pittorica di Sèrusier e dei Nabis a un completo e complesso modello ontologico della pratica artistica, basato distruttivamente sull’abolizione delle sovrastrutture stilistiche e costruttivamente sul ricordo dell’universale a fondamento dell’espressività umana.

La natura è la totalità degli oggetti che i nostri sensi ci rivelano. Il mondo è mondo delle qualità, tale proprio perché c’è qualcuno a percepirlo. Non basterà al pittore – come insegnava Gaugin – imparare a mimetizzare la propria opera nel mondo, non basterà imitare la natura: è un atto inintelligent, in quanto lascia fuori le facoltà superiori della mente umana per affidarsi solo a quelle sensoriali. L’arte non si limita a premiare i cinque sensi che la percepiscono, ma è il prodotto di una raffinata operazione di calcolo. Il fatto che l’arte, come spiega Sèrusier, sia espressa da amore e bellezza, non sta a significare che per essa non si tratti che di stimolare una pulsione. La bellezza, che è l’amore che proviamo per un oggetto artistico, è:

“l’apparenza che soddisfa sia i nostri organi visivi che la nostra intelligenza, perché raggiunge una situazione a cui aspiriamo, l’armonia”.

L’armonia, risultante della dialettica corpo-pensiero, è un arrangiamento di sentimenti che non vorremmo mai lasciare, un’orchestrazione fisio-psicologica che muta solo a prezzo di una perdita di spirito. L’armonia, lo spirito nella sua pienezza, è legata all’individuo. Lungi dal mappare le coordinate di uno stato armonico universale, Sèrusier trova il garante della genialità, del suo Talismano, del sublime di ogni epoca, nell’unico oggetto possibile: l’Io, l’insieme assoluto e accessibile. Il genio artistico chiuso nella stanza più accessibile di tutte, ma codificato in una struttura così intima, grezza e originaria da sembrare quasi spenta negli spiriti moderni.

Infatti la creatura umana, limitata espressivamente a render conto solo di se stessa, può aspirare alla bellezza solo grazie ad uno stile. È quando lo stile diventa moda, maniera, che esso perde di valore e non rende conto del moto spontaneo della mente e del fisico. Sèrusier fa degli esempi storici:

“Il Rinascimento, forzando i pittori a dipingere ispirandosi unicamente alle statue greche, sferra un colpo fatale al colore, che viene subordinato nel valore”.

E questa insana feticizzazione della forma plastica sopravvive fino a tutto il XIX secolo: Courbet guardava alla natura come un discepolo del David, i Naturalisti abbandonavano il chiaroscuro solo per una “sporca apparenza” di colori naturali, gli Impressionisti non sapevano giocare con la luce. Il colore, intima matrice dell’armonia, si è perso nei canali dell’antichismo. Lo stile, facoltà personale e specifica di unire le forme, si è perso nel ricorso a formule: l’eredità, l’ambiente e l’educazione del pittore, da semplici conditionata del genio, finiscono per catturare l’essenza piena del significato estetico, mettendo le radici su quel libero spirito individuale tanto caro a Sèrusier.

“Il genio non s’inchina a formule, tranne che agli inizi. Avendo preso possesso dei loro significati, egli genera nuove forme che impone ai suoi successori; e sono loro che trasformano le forme in formule”.

L’arte è quindi un complesso diagramma di forze contingenti, regolate sulle ampie piste della tradizione, della fisiologia, della personalità, dell’armonia naturale.

In prima battuta si tratta del fortuito e virtuoso incastro tra facoltà simbolica e carattere materiale, istintivo, animale. Una situazione psico-fisica esente da reticoli e demarcazioni qualitative, che mappa i luoghi spirituali dell’esperienza estetica in un tutto simbolico-animale, equipollente ma necessariamente duale, in quanto non è arte se è solo intelletto e non è arte se è solo sensazione. In seconda battuta si tratta di collegare l’arte al mondo: i vettori di riconduzione semantica sono la mimesi e la partecipazione, in quanto l’opera imita l’armonia naturale, fonte e categorizzatrice di tutto ciò che possa essere equilibrato, e partecipa delle proporzioni corrette dei corpi che caratterizzano la natura nel suo totale. Una doppia fattura, dunque, quella dell’arte: un’intimo gioco di forze intellettualistico-sentimentali e un’estrinseco assemblamento nell’ordine di ciò che, potremmo dire, è originariamente bello, ossia la natura.

“L’uomo incorpora tutte le misure di cui ha bisogno. […] Dobbiamo semplicemente spendere del tempo misurando le dimensioni per arrivare a queste razionalità, che, nonostante siano innate, sono cadute in disuso”.


 

FONTI

P. Sèrusier, L’ABC de la peinture, FAGE, Parigi, 2018

 

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