Ci sono libri che quando finiscono danno la sensazione di aver vissuto davvero un’altra vita e lasciano un sentimento di vuoto malinconico, come dopo una bella vacanza che ormai è terminata. Così è stato per Lux di Eleonora Marangoni, tra i dodici finalisti del premio Strega di quest’anno.
La storia di Thomas, questo il nome del protagonista, si snoda agile tra le pagine, si incastona alla perfezione in una cornice mutevole; dal piovoso centro di Londra infatti, ci si sposta nella campagna inglese fino ad arrivare a una sperduta isola nel sud Italia che – come si scoprirà – ospita
la sorgente dell’effervescente naturale Zelda, l’annessa proprietà alberghiera e un terreno circostante non meglio specificato, comprensivo di un vulcano inattivo e diciotto baobab nani.
Lux è un romanzo che entra nel dettaglio, al limite dell’impossibile. Tutto, dai protagonisti all’ambientazione, ai piccoli elementi di scena è descritto con pazienza certosina; dal confusionario e accogliente disordine delle vecchie case di campagna inglesi al frastuono caotico e vivace di un porto nel sud dell’Europa.
La trama è semplice; alla morte dello zio il protagonista eredita una proprietà di cui nemmeno sospettava l’esistenza: lo Zelda, hotel che ha visto tempi migliori in una sperduta isoletta del sud Italia. Recatosi sul posto con fidanzata e figlio (di lei) al seguito, scoprirà un vero e proprio universo parallelo, costellato di personaggi che non stonerebbero in una pellicola di Wes Anderson.
Tra le righe si srotolano profumi, suoni, accenti che trascinano il lettore all’interno della trama, lo fanno sentire parte della storia fino a che, raggiunta l’ultima pagina, non scivolano via:
Non saprei come chiamarla. Questa cosa… Il “non so che”. Un filosofo ha provato a spiegarlo, a un certo punto. Un russo, mi pare. Ma i filosofi sono il contrario dei poeti: complicano sempre tutto. E questo qui ha messo in mezzo troppa roba e nessuno ci ha capito più niente
Un’eredità inaspettata e un viaggio alla riscoperta di sé e delle proprie radici sono, in soldoni, i muri portanti di un romanzo che si articola in mille piccole storie secondarie. L’impressione è quella di aggirarsi per i corridoi del vecchio Zelda – questo il nome dell’albergo ereditato dal protagonista – e aprire una per una le porte delle sue stanze, incontrandone gli abitanti e scoprendone le storie.
Lo stile di Marangoni è ricercato e poetico senza mai risultare appesantito da fronzoli e orpelli inutili: tocca le corde delle emozioni umane con molta leggerezza, quasi facendo credere al lettore di parlare direttamente a lui. Amori perduti, malinconie, ricordi d’infanzia: tutto si mescola e rincorre con assoluta lucidità e armonia, regalando un romanzo convincente solo dal punto di vista della trama, ma per il modo in cui la racconta.
Lux per certi versi è come il vecchio hotel in cui è ambientato: diventa quasi un organismo vivente, sviluppa una personalità sua. Mescola coloritura e vivacità italiana a un umorismo squisitamente britannico, un amore per certi dettagli polverosi che incarna perfettamente l’archetipo della vecchia signora inglese. Un romanzo che
in un modo o nell’altro, aveva a che fare con una sghemba, timida idea di bellezza, di fedeltà a cose minuscole e apparentemente inutili.
Ma al di là di tutto questo, Lux regala anche riflessioni sulla natura umana, sulle piccole cose quotidiane che facciamo tutti, come custodire i ricordi di una storia d’amore ormai finita o rivolgerci ai libri quando tutto sembra franarci addosso:
Cerchiamo nei libri quello che non capiamo della vita, e nella vita quello che leggiamo nei libri. Forse è questa, la nostra condanna all’infelicità: cercare risposte e trovare solo commozione.
Ricorda a tratti i romanzi della tradizione anglosassone o certi dipinti di Turner, che più che il soggetto in sé vogliono riprodurre la luce di un particolare momento della giornata; anche i personaggi sono così, la loro fisicità è descritta con poche rapide pennellate e impariamo a conoscerli dalle loro paure, speranze, idiosincrasie. Il loro aspetto non è mai così importante quanto la loro personalità, approfondita pagina dopo pagina, svelata poco per volta:
Era alta, rossa, non si capiva mai se un po’ troppo magra o un po’ troppo in carne. Era il tipo di donna cui il tempo aveva insegnato a sentirsi attraente: la frivolezza per lei era un punto di arrivo, non un difetto di cui liberarsi. […] La sua bellezza poggiava su un esile equilibrio di toni neutri, e ancora oggi, a seconda del giorno, del clima, del paesaggio che aveva intorno, Ottie cambiava improvvisamente aspetto. I suoi capelli e i suoi lineamenti potevano essere ingrati o sublimi, proprio come accade in alcuni dipinti preraffaelliti in cui, per colpa di un daino dalla posa innaturale o di un giardino dai colori troppo accesi, eteree fanciulle si ritrovano di colpo trasformate in donnette ordinarie.
Lux è quindi un romanzo che racconta una trama al limite del banale, forse addirittura un po’ forzata, con uno stile opulento e lieve allo stesso tempo e che racconta di riflessioni, emozioni e pensieri che hanno prima o poi attraversato la mente di tutti. E lo fa dando loro una forma sublime e concreta:
Siamo ben strani noi umani a volte, pensò. Uno si sforza sempre di fare prima, di andar più veloce che può; guarda i trailer dei film per scegliere quello giusto, controlla i percorsi sulle mappe per imboccare la strada più breve, si danna se la connessione va lenta, preme il tasto > < degli ascensori, si lava i denti sotto la doccia e manda messaggi mentre è alla guida, e poi? Poi passa tre giorni attaccato a persone di cui scopre ogni dettaglio e con le quali non avrà mai più a che fare.
E. Marangoni, Lux, Neri Pozza, 2018