Una scrittrice in fuga: “Il Ballo di Irène” al Teatro Franco Parenti

Dal 5 al 10 marzo il Teatro Franco Parenti di Milano ospita Il ballo di Irène, l’incredibile storia di Irène Némirovsky. Lo spettacolo è stato scritto e diretto da Andrea Murchio, ma il monologo è stato interpretato dalla bellissima ed incredibilmente espressiva Alessia Olivetti; la produzione è di Mirabilia Teatro. L’evento ha una durata di circa un’ora e non sono previsti intervalli, tuttavia si tratta di un testo molto intenso e carico di significato. 

Il monologo racconta la breve ma intensa esperienza di una donna dolce, forte e carismatica, che ha dovuto patire per tutta la vita le discriminazioni razziali dovute alla sua origine ebraica. Nata in Russia, suo padre era un ricco ebreo dedito alla finanza e la madre una donna fredda e superficiale che non la amava; Irène studiò in casa e amò sin da piccola il francese. Inizialmente approvò gli ideali del comunismo con la genuina innocenza dei bambini, ma purtroppo suo padre era un borghese facoltoso: si trasferì nei paesi scandinavi in quanto era stata posta una taglia sulla testa di suo padre durante la Rivoluzione d’Ottobre; qui si innamorò per la prima volta di un uomo, un personaggio di cui non conosciamo il nome ma al cui fantasma l’attrice schiocca dei romantici baci. Successivamente si trasferì a Parigi e fu subito amore per la capitale della cultura dell’epoca. Dopo un breve periodo di libertinaggio si sposò e iniziò a scrivere, riscuotendo un certo successo e coniugando in maniera brillante la propria identità di madre di due figlie e quella di intellettuale. Quando Parigi venne conquistata dai Nazisti cercò di fuggire alle persecuzioni convertendosi al cristianesimo con la famiglia, ma fu inutile: la donna morì ad Auschwitz nel 1942. Della sua vita si è salvato un diario, conservato dalle figlie. 

Alessia Olivetti ha i capelli corti come Irène Nèmirovsky e un volto altrettanto gentile e solare; interpreta il suo personaggio con estrema dolcezza e una punta di timidezza ed emotività, ma gli atteggiamenti mutano radicalmente quando deve esprimere urla di dolore, rabbia, euforia alcolica o amore. Le pause e i mutamenti di atteggiamento scandiscono un monologo incalzante e privo di intervalli, caratterizzato da un linguaggio colloquiale, in particolare quando il personaggio pronuncia le parole “mi fa” al posto di “mi dice”. Irène è una donna colta e libera che ama immensamente il padre, gli uomini della propria vita e le figlie, combatte sino alla fine contro le persecuzioni razziali cercando la salvezza. Come costume di scena, l’attrice indossa un vestito marrone d’altri tempi, che evoca vagamente l’abbigliamento adottato nell’epoca di Irène.

La voce di Alessia Olivetti non è sola, infatti è accompagnata dalle registrazioni delle parole di alcuni personaggi della sua vita, dello speacker della radio, i discorsi dei politici (Hitler in particolare) trasmessi nell’etere e dalla musica tipica del suo periodo storico. Tale scelta inserisce il personaggio in un contesto più ampio, quello dell’epoca in cui vive, introducendo così la macrostoria nella vita privata della scrittrice. Viene diffusa dai microfoni del teatro anche la voce interiore di Irène e le sue confessioni più intime, che sembrano provenire dall’interiorità del personaggio in quanto le parole sono sfumate e pronunciate con enfasi sognante. 

La sala del teatro è stata privata del palcoscenico, perciò l’attrice recita sulle assi del pavimento. Gli oggetti di scena sono numerosi ed essenziali, citiamo un’antica macchina da scrivere, un gioiello d’antiquariato che uno spettatore ha voluto fotografare prima dello spettacolo, un grammofono, un finto giornale d’epoca, una valigia, dei libri ingialliti, una bottiglia di cristallo di whisky con  relativo bicchiere, un cappellino, un ombrello e una radio con un elmetto da soldato. Tali oggetti sono ben visibili in scena sin dall’inizio e anticipano ciò che accadrà nel corso dello spettacolo, incuriosendo la platea, inoltre ciascun oggetto è protagonista di un breve capitolo della vicenda, di cui diventa l’emblema. In fondo al palco una scala, su cui Irène spesso sale per raccontare; il fondo del palco non è una parete ma un corrimano di corda, che rende l’atmosfera intima e informale. 

La storia di Irène non è solo un’avvincente biografia, ma anche un affresco di un’epoca e, in particolare, della discriminazione e delle persecuzioni che gli ebrei hanno dovuto subire nei primi anni del Novecento. Anche la musica, la mentalità dei finanzieri ebrei e il mondo degli intellettuali di primo Novecento vengono trattati con freschezza e acume.

 

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