Si può educare l’agilità emotiva?

Da quando Daniel Goleman ha diffuso il concetto di intelligenza emotiva, introdotto dai ricercatori Salovey e Meyer all’inizio degli anni ’90, molto si è detto a proposito di questa facoltà e di quanto possa essere utile educare le persone sin da bambine ad essere emotivamente intelligenti. L’argomento è diventato ormai piuttosto popolare, tant’è che la Disney ha prodotto un cartone animato, Inside out, che racconta proprio le varie emozioni di una bambina e di come queste influenzino i suoi comportamenti.

Sebbene le tecniche per apprendere l’intelligenza emotiva proliferino, è importante tenere a mente che quelle evidence-based, cioè quelle basate su ricerche sperimentali, sono ancora relativamente poche. Susan David, psicologa e coach presso la Harvard Medical School, è sicuramente uno dei punti di riferimento attuali in materia. Il suo testo, Emotional Agility (di cui l’edizione italiana è stata pubblicata da Giunti), condensa centinaia di ricerche sperimentali su come sviluppare un adeguato rapporto col proprio mondo emotivo.

La tesi fondamentale dell’autrice è che l’agilità emotiva non ha a che fare col controllo delle emozionicome sostengono molti guru improvvisati della crescita personale – bensì con la capacità di lasciar scorrere le emozioni che abbiamo in un dato momento, sapendo riconoscere le informazioni che queste veicolano e scegliendo deliberatamente se considerarle valide o meno, per poi agire intenzionalmente seguendo la traiettoria tracciata dai nostri valori di riferimento.

Di base, tutti dovremmo abituarci a considerare i nostri stati emotivi come dati, informazioni che talvolta sono effettivamente in grado di farci comportare nel modo migliore, talvolta mandano in loop rappresentazioni disfunzionali di noi e dell’ambiente. Una persona emotivamente intelligente riconosce la funzione informativa delle emozioni e, come un lettore quando diventa esperto, è in grado di valutare se l’informazione ricevuta è di qualità oppure è da lasciar correre senza darle importanza. Questo è proprio il cuore dell’agilità emotiva: comprendere che le emozioni sono flussi di dati e che questi possono essere più o meno utili significa innanzitutto riconoscere che noi siamo qualcosa di più e di diverso dai nostri stati emotivi, e che pertanto non dobbiamo identificarci con essi, mantenendo la giusta distanza.

Non c’è nessun motivo per cercare di allontanare determinate emozioni, per evitare di affrontarle facendo finta che non ci siano, né tantomeno per fondersi con esse, sguazzandoci dentro e ruminando sul perché vengano provate: entrambe le strategie sono disfunzionali, se usate abitualmente, essenzialmente perché rubano energie preziose a ciò che è più importante: agire nel mondo, intenzionalmente, seguendo le nostre motivazioni più autentiche, nella direzione tracciata dai nostri valori.

Come si possono quindi educare i bambini all’agilità emotiva?

Secondo Susan David l’aspetto centrale è l’esempio dato dai genitori. Emblematico è un dialogo che l’autrice riporta tra lei e il suo quinquenne figlio Noah:

L’estate in cui mio figlio Noah aveva 5 anni eravamo clienti fissi della piscina locale […] ogni volta che cercava di saltare in acqua dal trampolino si bloccava […].Quando Noah era bloccato – letteralmente e metaforicamente- sul bordo di quel trampolino, avrei potuto imporgli la mia volontà, dirgli quel che già sapevo: se fosse andato avanti e avesse saltato, sarebbe stato bene e felice. Oppure avrei potuto tentare di minimizzare le sue autentiche preoccupazioni: “Non fare lo sciocco. Guarda quanto si stanno divertendo i tuoi amici, vuoi perdere questa occasione?”, invece ho deciso di iniziare con lui una conversazione, che abbiamo continuato a casa.

Dopo aver aiutato il figlio a riconoscere e dare un nome alla paura, hanno parlato di come si sarebbe sentito se si fosse tuffato – entusiasta e orgoglioso -; di come si sarebbe sentito evitando di saltare – avrebbe avuto meno paura ma anche più delusione -; e soprattutto come poteva, nonostante le sue paure, saltare lo stesso, perché si trattava di una cosa importante per lui.

Quindi, l’ho incoraggiato a riconoscere la sua paura: l’evoluzione ci ha resi cauti di fronte all’altezza per delle buone ragioni, perciò non c’è da vergognarsi di aver bisogno di tempo  per adattarsi all’idea controintuitiva che è ragionevole saltare in una vasca profonda 4 metri piena di acqua e cloro. Il semplice fatto di riconoscere ciò che percepiva cambiò il rapporto di Noah  con la sua paura, permettendogli di allontanarsene, ponendo una serena distanza tra quell’emozione e ciò che voleva realizzare. In altri termini significava distanziarsi dagli effetti fisici della paura – l’aumento del cortisolo, l’accelerazione cardiaca e l’iperventilazione – e da ogni narrazione che, facendolo dubitare di se stesso, lo avrebbe intrappolato già alla sua tenera età.

Infine, l’autrice si è concentrata insieme al figlio sui motivi per i quali voleva tuffarsi dal trampolino: la voglia di fare qualcosa di divertente insieme agli altri amici che già lo facevano e l’emozione da provare; assicuratasi che lui voleva realmente tuffarsi e non solo farlo per sentirsi alla pari con i compagni, ha quindi aiutato il figlio a concentrarsi su piccoli passi progressivi in grado di fargli acquisire un po’ di padronanza: salire in cima alla scala del trampolino, sporgersi dal bordo, infine tuffarsi.

Un episodio come questo naturalmente è fonte di straordinario apprendimento per un bambino, perché in esso è implicito tutto ciò che serve per diventare emotivamente agili: riconoscere e validare le proprie emozioni, stare con esse in un rapporto equilibrato comprendendone la ragion d’essere, collegarsi ai propri desideri reali e agire in modo ponderato per esaudirli.

Più che un teorico insegnamento tra i banchi di scuola, quindi, l’autrice sembra suggerire che conti il costante atteggiamento che gli adulti hanno nei confronti dei bambini. Per crescere figli emotivamente agili è fondamentale essere genitori emotivamente agili: sapere che le emozioni passano, che nessuna esperienza emotiva richiede tassativamente un’azione, che nessuna emozione deve essere temuta, che un’emozione potrebbe portare un insegnamento utile oppure no… Queste cose si possono insegnare ai genitori in modo che agiscano conseguentemente con i figli.

I bambini, inoltre, impareranno ad agire in modo autentico e libero da condizionamenti se verrà incoraggiata la loro autonomia; questo è possibile solo se li si apprezza realmente per ciò che sono, gli si fornisce un’autentica scelta ogni volta che ciò è possibile, gli si spiegano le ragioni delle proprie richieste da grandi, si riducono al minimo le ricompense esterne.


FONTI
David S., Agilità emotiva, Firenze, Giunti, 2017


 

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