Prestando attenzione quando si gira tra le strade fiorentine, potreste notare un veicolo assai differente dagli altri: il fantomatico taxi di Zia Caterina.
Il suo abbigliamento sgargiante, i grandi occhialoni da sole, il mantello floreale e il suo “bolide” ricco di peluche suggeriscono subito che non si tratti di un’autista qualunque. Caterina Berlardi, quarantanovenne, pratica da 13 anni il mestiere di tassista. E fin qi non si può che sorridere al pensiero di una zelante cinquantenne che guida un taxi colorato per la città natia del grande Dante Alighieri; ma andando in fondo alla vicenda, è inevitabile che scenda qualche lacrimuccia.
Caterina ha un trascorso molto triste: dopo uno di quegli amori travolgenti che cambiano la vita, perse l’amatissimo compagno Stefano a causa della grande bestia nera dei nostri giorni, il cancro. Questi prima di morire, decise di lasciarle in eredità “Milano 25”, il taxi che precedentemente gli era stato affidato dalla madre della sua ex fidanzata per ringraziarlo delle attente cure ricevute durante una malattia.
Da quel momento Caterina, seppur in preda ad un dolore lancinante, decide di cambiare vita e di non farsi abbattere dalla depressione, provando a regalare un momento di spensieratezza e gioia a tutti i più giovani pazienti oncologici. Vedere i loro occhietti spenti rallegrarsi davanti alla visione di un cartone animato, sorridere al tocco di una dolce carezza o riuscire a strappare loro una risata sono per la giovane vedova non solo una vittoria, ma una vera e propria cura al suo stesso male.
Si sa che, a volte, il miglior modo per alleviare il proprio dolore è fare il bene altrui…
Ovviamente non è un dottore e, dunque, non possiede di certo le conoscenze per affrontare con un approccio scientifico e medico la malattia, ma, in compenso, possiede un grande cuore, capace di alleviare il dolore mentale e morale delle ultime persone che vorremmo vedere soffrire, i nostri bimbi.
Il suo taxi è un vero e proprio veicolo d’amore.
Caterina racconta di aver lasciato il proprio impiego in ufficio per dedicarsi ai suoi “piccoli supereroi“. Il suo compito è quello di accompagnare le famiglie dei bambini ricoverati all’ospedale Meyer di Firenze o, addirittura, portare gli stessi pazienti a divertirsi gratuitamente e spegnendo il tassimetro.
E quale miglior divertimento per un bambino di una pizza, un cono gelato, o dei giocattoli nuovi? La stessa tassista si preoccupa di acquistare il materiale ludico e di giocare con loro, recuperando quella parte bambinesca che, in realtà, è ancora presente in ognuno di noi.
Nel dolore più profondo, capisce, altresì, di provare una sofferenza minore rispetto a quella nutrita dai genitori che perdono i propri figli, e ciò è per lei un monito per migliorare il suo servizio.
Ho capito che il mio dolore per Stefano non era nulla in confronto ad una madre che perde un figlio. Il mio è un servizio d’amore. Quando qualcuno entra in macchina inizia uno scambio, un momento di empatia che può durare 5 minuti. Io ne approfitto per trasmettere la gioia di un piccolo viaggio da condividere, soprattutto a chi è triste. A chi è fragile e pieno di sofferenza: i bambini malati di cancro, per esempio. I miei supereroi.
La sua più grande ambizione è quella di convincere il mondo che anche nel dolore vi sarà sempre qualcuno capace di amare perché l’amore non termina mai, neanche di fronte alla morte. Di fronte a tanti bambini innocenti, Caterina stessa ammette di trovarsi in difficoltà con le parole, ma ascoltare, talvolta, si rivela essere un compito altrettanto arduo, quando a confidarsi sono creature pure e genuine ignare del proprio stato di salute. Così, quando non riesce proprio a trovare le parole giuste, decide di condurli da padre Bernardo, priore di San Miniato al Monte, uomo saggio e punto di riferimento per la stessa. Lei si configura come colei che indica la strada, lui come la guida.
Caterina è una donna molto religiosa ed insegue il suo credo ogni qual volta riesce ad accompagna persone che potrebbero non arrivare a destinazione.
Una mia cara amica con due melanomi mi ha chiesto di accompagnare lei e la figlia al concerto di Ligabue a Milano tempo fa. Appena arrivata ho percepito poca felicità, ho provato più pace in ospedale con i bambini. Mi sono sentita malissimo, a disagio, come un Ufo. I ragazzi che bevevano birra mi guardavano imbarazzati per come ero vestita. In fondo chi è senza capelli o su una carrozzina mica può scegliere di cambiarsi. La mia era una divisa che dovevo tenere. Il dolore che ho provato sentendomi estranea era il messaggio d’amore di Gesù. Dio permette il dolore per insegnarci ad amare. Non potevo dire di no a un’amica che sta per morire. È la legge del sì evangelico
Insomma, non esistono, purtroppo, molte persone la briosa Zia Caterina, capace di rinunciare alla propria vita per regalarla, viaggio dopo viaggio, a chi ha voglia di vivere. Con i suoi colori e il suo sorriso sincero è capace di invitare la gente a condividere il suo dolore e tramutarlo in voglia di vivere in una vera e propria rivoluzione d’amore.