Il cosiddetto Rinascimento Disney (1989-1999) è il decennio in cui lo studio tornò alla ribalta dell’industria cinematografica grazie a una serie di pellicole di successo, tra le quali si possono citare Aladdin, La Sirenetta, Il Re Leone, La Bella e la Bestia e Mulan. L’ultima opera di tale periodo d’oro è Tarzan, film d’animazione basato sul celebre personaggio creato oltre un secolo fa dallo scrittore E. R. Burroughs.
La storia inizia con un montaggio musicale parallelo. Due lord inglesi, marito e moglie, naufragano col figlio neonato sulle coste dell’Africa, ai margini di una fitta giungla; lì costruiscono una casa in cui trovare rifugio, ma vengono uccisi dal leopardo Sabor. Nel frattempo, anche un gruppo di scimmie subisce l’attacco del feroce predatore, durante il quale la gorilla Kala perde il proprio cucciolo. Attirata dal pianto del bambino rimasto orfano, lo salva dalle grinfie di Sabor e decide di allevarlo come suo figlio, dandogli il nome di Tarzan. Gli anni passano e il piccolo cresce e impara a vivere con i gorilla e gli altri animali della giungla, cercando di conquistarsi il favore di Kerchak, il capo branco che da sempre lo guarda con sospetto. Sembra finalmente riuscirci quando esce vincitore da uno scontro all’ultimo sangue con Sabor – ma una nuova insidia si profila all’orizzonte. L’arrivo di una comitiva di uomini, tra cui la bella ricercatrice Jane e l’infido bracconiere Clayton, risveglia gli antichi dubbi di Tarzan sulla propria identità, ponendolo di fronte a una scelta decisiva.
L’adattamento Disney rappresenta la prima trasposizione in lungometraggio animato del personaggio creato dalla fantasia di Burroughs. Una scelta insolita ma chi si è rivelata particolarmente felice: nessun medium prima d’allora era riuscito a catturare con tale efficacia l’energia e il dinamismo dell’uomo scimmia. Tarzan corre, scivola, salta, si lancia e dondola tra rami e liane con una fluidità senza precedenti. La sensazione di immersione nei lussureggianti e intricati scenari della giungla, inoltre, è potenziata dalla tecnica Deep Canvas ideata appositamente per il film: una commistione di animazione tradizionale e computer grafica usata per creare fondali 3D in cui i personaggi a due dimensioni possano muoversi liberamente.
Altro punto di forza del film è l’incredibile colonna sonora realizzata da Phil Collins, capace di scrivere alcune delle canzoni Disney più belle di sempre, compresa la struggente You’ll Be In My Heart vincitrice del premio Oscar. Anche qui Tarzan si dimostra innovativo: non sono i personaggi a cantare, come avviene di solito nei film Disney, ma Collins stesso (in ben cinque lingue differenti, Italiano compreso), creando un filo conduttore le cui note percorrono l’intera trama.
La storia di Tarzan rimanda all’eterno dibattito filosofico tra natura e cultura, una dicotomia che ha diviso i pensatori di ogni epoca. Quali sono i fattori che determinano la nostra identità? Chi sostiene il predominio della natura ritiene che siano i tratti biologici e anatomici, così come i caratteri ereditari e genetici, a influenzare maggiormente formazione, comportamento, personalità. I fautori della posizione culturale, al contrario, mettono l’accento su un insieme di circostanze contingenti che accompagnano la crescita della persona: l’ambiente, l’educazione, il contesto sociale, le esperienze dell’infanzia, le relazioni instaurate con gli altri sarebbero allora gli elementi che esercitano l’influsso più importante nella costituzione dell’individuo.
Tarzan, cucciolo di uomo allevato e cresciuto dalle scimmie, sperimenta sulla propria pelle tutte le contraddizioni della propria condizione. Pur cercando di adattarsi allo stile di vita dei gorilla, non riesce a farsi accettare pienamente da alcuni di loro, Kerchak in particolare. Il capo branco sentenzia davanti ai suoi sforzi che Non si impara a essere uno di noi: scimmia si nasce, non si diventa, una posizione nettamente schierata a favore dell’egemonia della natura. Lo stesso Tarzan, guardando il proprio riflesso in uno specchio d’acqua o accostando la sua mano a quella della madre adottiva, riconosce una diversità radicale fondata in primo luogo sui caratteri anatomici. Crescendo, tuttavia, riesce a integrarsi coniugando le sue precipue doti di essere umano ai comportamenti animali appresi negli anni: intelligenza, furbizia, manualità gli permettono di assolvere i compiti di membro del gruppo in modo diverso ma non meno efficace.
La crisi identitaria si rinnova con l’arrivo nella giungla della spedizione a cui partecipa Jane. Per la prima volta Tarzan si riconosce uguale ad altri, fin negli aspetti all’apparenza più superficiali ma non meno significativi, come quelli fisici. Non solo la componente corporea, ma anche quella psichica e istintuale trova corrispondenze che prima era impossibile riscontrare: l’attrazione amorosa per Jane, così come il senso di appartenenza a un consorzio umano che va scoprendo con vorace curiosità, mostrano l’irresistibile ascendente della sua natura ai danni della consuetudine culturale in cui è cresciuto.
Allo stesso tempo però, la civiltà approdata sulle coste dell’Africa è portatrice di elementi soggetti alla cultura: regole, convenzioni, limiti che nella figura di Clayton esprimono tutto il proprio potenziale negativo e a cui Tarzan si ribella:
“Sii uomo!”
“Non uomo come te.”
Tarzan reclama un’umanità diversa da quella esemplificata da Clayton, non contaminata da sentimenti di invidia, avarizia, brutalità. Un’umanità più vicina a uno stato naturale, quello acquisito crescendo tra le scimmie: perché quando si spoglia l’individuo di tutti i costrutti della società, si arriva infine alla sua forma primeva, a una dimensione di istinti che ci rendono davvero umani ma che non sono nostri esclusivi: amore, compassione, solidarietà. E così, solo unendo il suo lato umano a quello animale Tarzan può trovare un orizzonte di senso unitario.
Dopo secoli di dibattiti, oggi molti esperti sono concordi nel non vedere più natura e cultura come poli opposti e inconciliabili, quanto piuttosto come elementi interdipendenti che insieme contribuiscono allo sviluppo della persona. Questa è anche la prospettiva adottata dal film: alla fine Tarzan sceglie di rimanere coi gorilla tra cui è cresciuto, una famiglia a cui sente finalmente di appartenere; ma insieme a lui c’è Jane, portatrice di quegli elementi umani che rappresentano l’insopprimibile necessità della propria natura.
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