«E di’ alle credenti che abbassino gli sguardi e custodiscano le loro vergogne e non mostrino troppo le loro parti belle, eccetto quel che di fuori appare, e si coprano i seni d’un velo (“wa l-yaḍribna bi-khumūrihinna ʿalā juyūbihinna”) e non mostrino le loro parti belle ad altri che ai loro mariti o ai loro padri o ai loro suoceri o ai loro figli, o ai figli dei loro mariti, o ai loro fratelli, o ai figli dei loro fratelli, o ai figli delle loro sorelle, o alle loro donne, o alle loro schiave, o ai loro servi maschi privi di genitali, o ai fanciulli che non notano le nudità delle donne, e non battano assieme i piedi sì da mostrare le loro bellezze nascoste; volgetevi tutti a Dio, o credenti, che possiate prosperare!» l’āya 31 della sūra XXIV (al-Nūr, “La luce”)
«O Profeta! Di’ alle tue spose e alle tue figlie e alle donne dei credenti che si ricoprano dei loro mantelli (“yudnīna ʿalayhinna min jalābībihinna”); questo sarà più atto a distinguerle dalle altre, e a che non vengano offese. Ma Dio è indulgente e clemente!». l’āya 59 della sura XXXIII (al-Aḥzāb, “Le fazioni alleate”)
Questi sono solo due dei versetti del Corano più citati in riferimento all’abbigliamento consono alle donne musulmane. In numerosi stati medio orientali la religione musulmana e l’estremizzazione del Corano hanno portato alla nascita di gruppi politici basati sul fondamentalismo religioso, che con il tempo sono riusciti a prendere il controllo dell’area. Uno degli strumenti più utilizzati da tale fondamentalismo è il velo. Prima di addentrarsi nei singoli casi è doveroso redigere una distinzione tra le principali tipologie di velo attualmente utilizzate:
- HIJAB – In occidente è diventato un termine generico utilizzato per indicare la copertura del capo. Nel Corano, l’hijab non è solo un capo di abbigliamento, ma anche un termine che indica qualcosa che ti separa dagli altri e garantisce discrezione. Una della possibili traduzioni di questa parola è infatti “tenda”. Appare come una sorta di sciarpa in diversi stili e colori, che copre la testa e il collo, ma lascia il viso scoperto. Oggi è il velo più diffuso tra le donne musulmane che vivono in Europa.
- NIQAB – Copre il capo e il volto lasciando solo una striscia libera per gli occhi. Sul retro si allunga fino a coprire i capelli, sul davanti arriva a nascondere completamente il petto. Viene spesso abbinato a una sciarpa per il capo e a un’ampia veste per il resto del corpo. Viene utilizzato soprattutto tra le donne dell’Arabia Saudita.
- BURQA – E’ decisamente il più integrale dei veli islamici in quanto copre completamente il corpo, dalla testa ai piedi, compresi gli occhi, schermati da una struttura di stoffa “a griglia”.
- CHADOR – Molto simili a scialli o mantelli nonostante passino sopra alla testa. Questa somiglianza è dettata dal fatto che le donne li indossano in modo tale da avvolgere tutto il corpo, tenendoli generalmente chiusi con la mano. Vengono usati fuori casa e sono in genere di colore nero.
Osservando la fotografia qui a fianco è difficile indovinare il paese in cui è stata scattata, soprattutto se ci basiamo solamente sull’immaginario e sulle nostre attuali conoscenze della realtà quotidiana mediorientale sopracitata. La fotografia immortala delle giovani donne iraniane, spensierate e libere, prima della rivoluzione islamica cominciata nel 1978 e terminata il 1 Febbraio 1979, momento in cui l’Ayatollah Khoneyn, allora esiliato in Francia, prese il controllo del potere politico iraniano. L’Iran è uno di quei paesi di cui non bisogna lasciarsi ingannare dallo status politico: Repubblica Islamica. La presenza di un presidente della repubblica eletto tramite suffragio, di un governo e di una costituzione, non basta per paragonare l’Iran a uno stato basato sui principi di libertà individuale e uguaglianza. Khomeini impose la nuova Costituzione attorno al concetto di velayat e-faqih, traducibile letteralmente come “governo del giureconsulto”, cioè un governo nel quale veniva riconosciuto il ruolo di guida del giurista islamico sulla comunità dei credenti. Dunque dal punto di vista pratico l’Iran può essere considerato un vero e proprio stato totalitario che indossa la maschera di una repubblica. La situazione di libertà delle donne è cambiata tantissimo nel giro di pochi decenni: sono stati persi i pochi diritti che erano riuscite a conquistare, tra cui la libertà nell’ indossare ogni tipologia di abito. Prima della rivoluzione, la moda, come accede oggi nel resto del mondo, era un modo per esprimersi senza sottostare obbligatoriamente a un volere più alto, che sia Dio o la legge di stato. Questa possibilità di scelta non rappresentava solamente una libertà prettamente estetica, ma al suo interno racchiudeva una forte libertà di pensiero, di decisione e soprattutto di religione. Camminare per le strade con gonne corte o godersi un bagno al mare in costume non era ritenuto scandaloso e soprattutto non era perseguibile a norma di legge; contemporaneamente chiunque volesse indossare un velo o abiti più coprenti era completamente libero di farlo.
«Le leggi sono molto chiare e sono state stipulate secondo la Sharia: le donne devono indossare abiti pudichi e rispettosi, come fanno gli uomini». La Sharia «non specifica un abaya nero o un abito nero o un velo nero. La decisione spetta interamente alle donne su quale abito pudico e rispettoso indossare».
Un altro punto da non sottovalutare è l’interesse che i più famosi marchi di abbigliamento hanno mostrato nei confronti del velo. Pensiamo per esempio alla campagna pubblicitaria di H&M del 2016, in cui una ragazza velata e vestita di rosa protegge il viso con un grande paio di occhiali neri; o anche alle abayas (tuniche) di lusso, squisitamente rifinite e gli hijab (veli in testa) firmati da Dolce&Gabbana. Un altro esempio è rappresentato dalla selezione speciale Ramadan proposta già tre anni fa dall’allora sito di e-commerce di lusso Net-A-Porter. Una proposta ripresa anche sul sito di Mango, e dal gigante Uniqlo, che lancia una collezione speciale, firmata dalla stilista e blogger anglo-giapponese e musulmana, Hana Tajima. Altri movimenti sono nati direttamente da ragazze di fede musulmana, velate e sofisticate, che hanno dato vita a blog piuttosto seguiti: sono soprannominate “mipsterz” (musulmane hipster) oppure “hijabistas” (fashioniste dell’hijab).