Con l’arrivo nelle sale cinematografiche dell’ultimo lavoro che tra le varie firme porta anche quella di James Cameron, il film fantascientifico “Alita: Angelo della Battaglia” riporta sul grande schermo una tematica che da sempre affascina gli appassionati del genere: può una macchina (in questo caso un cyborg) andare oltre la propria fisicità e provare emozioni umane?
Prima di sviluppare questa teoria, è doveroso precisare che la pellicola sceneggiata da Cameron è un riadattamento in chiave filmica dell’omonimo manga “Alita Battle Angel” di Yukito Kishiro, uscito nel 1990. Tante sono le modifiche apportate dal regista Robert Rodriguez, pertanto la nostra analisi cercherà di mantenersi neutra tra le due versioni.
Alita, per cominciare, non è un robot bensì un cyborg; un organismo cybernetico, con un cervello similmente umano installato su un corpo macchina, con necessità anatomiche comuni. Trovata nella discarica sotto Zalem dal dottor Daisuke Ido (interpretato da Christoph Waltz), Alita si appresta a ricominciare da zero in un corpo nuovo: è totalmente immemore del suo passato e guarda il mondo come farebbe una bambina a contatto con esso per la prima volta; sperimenta sapori, memorie, persino emozioni umane. La sua più grande caratteristica, inoltre, è la sua forza. Il suo cuore è alimentato da un reattore antimaterico, che le permette di generare energia a sufficienza per sferrare attacchi micidiali. Una tecnologia prebellica, perduta nei secoli. Inconsciamente Alita è anche portata a difendere gli altri, combattendo senza esitazione usando l’arte marziale della Panzer Kunst; sfruttando questa tecnica di lotta, la ragazza risveglia in sé ricordi della sua vita precedente, quando combatteva con l’URM per abbattere il regime totalitario di Desty Nova, signore di Zalem.
La cyborg raggiunge il suo pieno potenziale solo dopo essere entrata in possesso di un corpo chiamato “berserker”, studiato appositamente per organismi come lei, che sfrutta la nanotecnologia per ripararsi e generare ancora più forza. La progressiva riscoperta di sé, esteriormente e interiormente, sembra porre un quesito a noi molto noto: Alita è una macchina o una persona? La sua spettacolare abilità in combattimento e le sue tecniche di lotta ci farebbero propendere per un no, mentre i suoi comportamenti naturali e le sue emozioni più profonde (specialmente l’amore familiare verso Ido e la passione verso il fuorilegge Yugo) sembrano portarci verso il sì.
In realtà non c’è una vera risposta. Anche Rodriguez e Cameron rimangono in qualche modo neutrali, mostrando entrambi i lati di Alita durante il film. C’è chi la definisce una “corpo-freddo”, mentre Yugo la considera “la persona più umana che conosca”. In un mondo in cui non c’è quasi più nulla di naturale (di fatto, solo Ido è al 100% un essere umano senza modifiche), Alita si piazza come ponte tra le due realtà, che sembrano vivere una scissione enorme fin dai tempi della grande guerra. Lei è il tramite tra i cyborg e gli umani, l’anello mancante destinato a far cadere tutti i muri e spezzare la catena di Zalem che tiene in ostaggio il mondo sottostante; una catena letterale, dal momento che la città fluttuante è di fatto ancorata al suolo, da cui prende risorse per la propria sopravvivenza.
Il personaggio di Alita è estremamente interessante in entrambe le versioni. Il manga ci dà una visione di insieme più dettagliata dell’universo di Kishiro, includendo personaggi e storie di diverso tipo, mentre l’adattamento di Rodriguez-Cameron è più generico, ma regala un volto e una voce a quei personaggi che da quasi trent’anni affascinano un grande pubblico.
E’ solo un corpo vuoto, Alita… non è buono o cattivo. Sta a te decidere come usarlo -dott. Daisuke Ido
Wikipedia (manga)