Un inno alla corporeità, celebrata come pura nudità fluttuante nell’acqua. Una celebrazione del passaggio del tempo, attraverso le trasformazioni fisiche e psicologiche dell’individuo. Il racconto di una separazione, tra emerso e sommerso, conosciuto e inconscio.
Ramona Zordini è una giovane fotografa bresciana, classe 1983. Tra il 2012 e il 2014 realizza tre serie fotografiche raccolte nel progetto Changing Time. Un titolo emblematico, che sottintende un cambiamento, un mutamento fisico e mentale attraverso il corpo. Materia carnale e sanguigna, che si perde però nella volatilità della transizione. Per questo Ramona sceglie di ambientare i suoi scatti nell’acqua, l’elemento più congeniale per rendere perfettamente l’idea di trasformazione. Immerge i suoi soggetti in vasche, lasciando emergere parti corporee più o meno consistenti dalla superficie. L’acqua ricopre i corpi, così come li riempie per il 60%; è una membrana, una lastra trasparente che separa il soggetto dal fotografo. La fotografa, in questo caso, vuole immortalare una corporeità che si nasconde, ma al tempo stesso necessita lo sguardo del voyeur. E l’acqua, nella sua trasparenza opaca, rende perfettamente l’effetto vedo-non vedo, un elemento di separazione, ma al tempo stesso un invito all’immersione, per scoprire qualcosa di nuovo, sconosciuto. Come cita Margaret Atwood:
L’acqua non oppone resistenza. L’acqua scorre. Quando immergi una mano nell’acqua senti solo una carezza. L’acqua non è un muro, non può fermarti. Va dove vuole andare e niente le si può opporre. L’acqua è paziente. L’acqua che gocciola consuma una pietra. Ricordatelo, bambina mia. Ricordati che per metà tu sei acqua. Se non puoi superare un ostacolo, giragli intorno. Come fa l’acqua.
L’uomo è come un iceberg: solo un decimo del suo essere – la punta dell’iceberg – è consapevole, mentre gli altri nove decimi sono sommersi dall’acqua e dall’inconsapevolezza.
Nella realizzazione delle sue opere, Ramona coniuga felicemente tre elementi: fotografia del corpo, cucito e lavoro su altorilievo. Sulle stampe delle sue fotografie acquatiche, cuce le parti corporee che fuoriescono dall’acqua in altorilievo, così da mostrare allo spettatore l’effetto del trapasso. Elimina le limitazioni spaziali e la prospettiva di uno scatto bidimensionale, a favore del rilievo e di un effetto onirico, ma concreto. Il suo obiettivo è quello di dare profondità e rotondità ai suoi scatti fotografici. Il prodotto finale, con la sua natura ibrida e finemente studiata, colpisce lo spettatore con una comunicazione diretta ed efficace.
Vorrei l’impermeabilità delle cose per toccare ogni sensazione senza che filtri occasionalmente il mio essere e mi stordisca, lasciandomi implosa a riempire una scatola di rievocazioni decomposte e reinventate a mia immagine e somiglianza. Ambiguo il termine, ambiguo il luogo, il gesto, il pensiero, i tuoi occhi persi dentro un lui senza entrata, è un eterno momento di transizione, nulla è come ieri, il filtro è da pulire.
Changing Time è quindi un inno alla corporeità, ma anche alla sua volatilizzazione nel ricordo. Da un lato agisce l’acqua, che filtra lo sconosciuto e l’inconscio per comunicarlo in maniera diretta ed esplicita all’osservatore. Dall’altro agisce lo sguardo della fotografa, nel tentativo di comprendere l’altro nella sua trasformazione psichica e corporea. In tutto questo c’è un filo erotico che si esprime attraverso la nudità e la volontà voyeuristica dell’osservatore di guardare oltre la barriera acquatica.