Con “violenza di genere” s’intende l’abuso, fisico, psicologico o sessuale della donna. Esso consiste in un atto discriminatorio sulla base del sesso ed è, per questo, una violazione dei diritti umani. Comprende atti persecutori, stupri e il cosiddetto “femminicidio“. L’alto numero di casi di “violenza di genere” riscontrati nella contemporaneità è confermato dai dati ISTAT (Roma, 11 Aprile 2018). Allarmante è pensare che il 31,5% di donne in età compresa tra i 16 e i 70 anni ha subito una violenza, fisica o sessuale, e il 10,6% delle donne dichiara di averla subita prima dei 16 anni. Nel 2016 149 donne sono state vittime di omicidi volontari e dall’inizio dell’anno corrente le vittime sono già più di 30. La strage non sembra avere fine e le denunce sono molto inferiori rispetto agli effettivi atti di violenza.
La violenza sembra essere radicata nella società come un morbo incurabile e inarrestabile. Nell’antichità, infatti, non è difficile ricordare dèi, uniti a donne mortali a seguito di atti di violenza. Così, il corpo della donna è da sempre stato vittima di abusi e soprusi. La storia occidentale sembra affondare le sue radici in una solida tradizione letteraria e mitologica. Alla base ci sono storie di violenza che hanno coinvolto ninfe e dee, figlie di re e muse. I più grandi poeti dell’antichità hanno tematizzato l’abuso del corpo femminile e ne hanno tratto dei miti, divenuti poi celeberrimi. Non è difficile ricordare, per esempio, il mito di Lucrezia, Afrodite o il Ratto delle Sabine. Lo spettacolo in scena, in prima assoluta, al Pacta Salone Milano ripercorre, attraverso stralci letterari e non, storie di eroine della storia e del mito, icone delle “vittime senza nome” della quotidianità.
Lucrezia e le altre. Dal mito le origini della violenza di genere (il titolo dello spettacolo) esplica esaustivamente gli obiettivi della messa in scena. Il mito, fonte inesauribile di verità, ancora una volta racconta storie attuali, così vicine allo spettatore, poiché riscontrabili in un giornale di cronaca, ma così lontane, poiché localizzate in uno spazio-tempo non identificato. In scena tre donne: un’attrice, Elisabetta Vergani, una professoressa universitaria di “Religioni del mondo classico” e “Mitologia classica”, Silvia Romani, e una musicista, Sara Calvanelli. Grazie al perfetto connubio di tre mezzi espressivi (recitazione, insegnamento e musica), in scena prendono vita anime di donne, per realizzare uno spettacolo penetrante al punto giusto, incalzante e riflessivo.
Sconvolge pensare alla grande quantità di episodi amorosi del mito che coinvolgono atti di violenza. Afrodite, la dea dell’Amore, paradossalmente, è nata dalla violenza, da un miscuglio di acqua e sperma disperso nell’oceano. Per popolare una Roma priva di donne, Romolo decise di rapire le mogli e figlie Sabine e scacciare gli uomini. Queste, affezionatesi ai rapitori, decisero di rimanere con loro. Romani e Sabini costituirono, così, un unico popolo. Infine la storia della nobile Lucrezia, moglie di Lucio Collatino. Fu stuprata da Sesto Tarquinio (figlio dell’ultimo re di Roma) e, nel momento della confessione della violenza subita, si tolse la vita trafiggendosi con un pugnale. Per vendetta di Lucrezia, i Tarquini furono cacciati e nacque la Repubblica. Lucrezia è la prima donna a prendere una posizione attiva contro la violenza. La vicenda infatti, tramandata da Livio, fa parlare la protagonista:
Sta a voi stabilire quel che si merita. Quanto a me, anche se mi assolvo dalla colpa, non significa che non avrò una punizione. E da oggi in poi, più nessuna donna, dopo l’esempio di Lucrezia, vivrà nel disonore!
Le vicende delle donne procedono sul palcoscenico come immagini. Seguono uno schema ricorrente: introduzione alla vicenda, sviluppo drammatico e accompagnamento musicale. La professoressa, in tono sentenzioso e piuttosto scolastico, illustra le dinamiche. Successivamente, l’attrice colora l’evento, immedesimandosi nelle anime dei personaggi che popolano la scena di volta in volta. La musicista, grazie ad assoli o pezzi di accompagnamento, contribuisce alla creazione di un’atmosfera ironica e a tratti angosciante. In generale, l’intero spettacolo è avvolto da un pesante alone di ironia. Ciò rende l’opera fruibile e leggera, ma intellettualmente profonda e pesante; l’approccio ai testi classici è, infatti, estremamente critico. Le tre donne spaziano da Ovidio (Ars Amatoria, Metamorfosi) a Livio, per giungere fino a Shakespeare. Rappresentano il dolore di una vita spezzata, o la tristezza di una gioventù appassita troppo presto.
Parlare di “violenza di genere” attraverso il teatro significa comunicare attraverso i sentimenti. L’obiettivo di una rappresentazione teatrale, infatti, non è trasmettere un messaggio intellettualmente, ma creare un rapporto simbiotico con lo spettatore. Il passaggio d’informazioni avviene a livello inconscio; ciò conduce a un’inevitabile sensibilizzazione al tema. Così l’apparizione sulla scena di Lucrezia, le Sabine, Dafne, Afrodite, non può passare inosservata: s’incolla nel cuore e nello stomaco, si radica nell’animo, non schizza via come una fugace notizia di cronaca nera.