Nel grande mare del commercio librario, tra siti che permettono l’acquisto online e grandi catene di distribuzione, resistono ancora le piccole librerie indipendenti. Il fenomeno della globalizzazione ha indubbiamente penalizzato queste realtà che non si appoggiano su colossi editoriali e non permettono di ordinare un libro con un click e successiva consegna entro le ventiquattro ore. Allora perché come lettori e clienti dovremmo sostenere queste librerie, e soprattutto cosa fa la legge italiana per tutelarle e impedire che vengano inabissate dal mercato globale?
Le librerie indipendenti sono sempre più in calo, la concorrenza con la grande distribuzione sembra non lasciar loro scampo anche se negli ultimi anni pare che i lettori siano sempre più attenti a queste piccole realtà. I motivi per sostenerle sono molteplici: in primis c’è il rapporto con il libraio, che in questo caso non è un semplice addetto alle vendite, come spesso capita nelle grandi società, ma un vero esperto in fatto di libri, trasuda passione e non vede l’ora di consigliare e seguire i propri clienti. Subentra talvolta anche una componente affettiva. Le piccole librerie sono inoltre dei luoghi accoglienti, che fanno sentire a casa, questo forse vorrà dire che non troverete tutti i testi possibili e immaginabili, ma non temete: anche nelle librerie indipendenti è possibile ordinare libri per poi ritirarli nei giorni successivi.
Insomma, il singolo lettore ha infinite ragioni per scegliere di entrare in questi luoghi e dunque sostenerli. Ma come opera invece la legge per tutelare le piccole realtà indipendenti dalle catene della grande distribuzione libraria e dalle vendite online? La legge italiana oggi presenta un quadro ancora in evoluzione per quanto riguarda la questione. Nel 2007 veniva presentata in Parlamento la legge Levi, che prendeva il nome del ministro che la proponeva, Franco Levi. Questa legge mirava alla definizione del prodotto editoriale e di conseguenza dell’attività editoriale, suscitando molte critiche e dibattiti che ne arrestarono più volte l’iter di approvazione nel corso delle diverse legislature. Le critiche erano dovute per lo più al fatto che il disegno proposto limitasse notevolmente la veicolazione della cultura, sottoponendo a severi oneri legali i siti di e-commerce rispetto al passato, ma allo stesso tempo ostacolando l’acquisto di libri da parte delle fasce meno abbienti della popolazione, le prime a beneficiare degli sconti.
Nelle ultime settimane si è nuovamente parlato di questo provvedimento. L’attuale governo ha infatti proposto una modifica alla legge Levi, ispirandosi alla situazione degli altri paesi europei, in particolar modo a quella francese. L’obiettivo è quello di rafforzare le tutele per le piccole realtà indipendenti, così come si era cercato di fare inizialmente con il disegno di legge proposto nel 2007. Il difetto più critico di questa legge, che venne approvata soltanto nel 2011, è che lungi dal promuovere le piccole realtà indipendenti, in realtà le ostacola, poiché lascia aperto lo spazio per proporre sconti più alti durante occasioni eccezionali, come eventi speciali di promozione. Le grandi catene editoriali possono permettersi di alzare la percentuale di sconto, e dunque ne traggono vantaggio, mentre le case editrici indipendenti più piccole no, ricevendo in questo senso un danno economico non indifferente.
Già dal 2018 la questione aveva suscitato un fervente dibattito in parlamento. L’obiettivo del ministro dei Beni Culturali Alberto Bonisoli era quello di intervenire statalmente e limitare le politiche del laissez-faire al fine di incentivare la lettura e l’acquisto di libri. Il ministro si proponeva di continuare sulla falsa riga dei provvedimenti del decreto Levi, ponendo un limite ai maxi sconti operati da siti e-commerce e dalle grandi catene, per favorire una concorrenza libera ed equa. Lo scopo di Bonisoli era quello di «evitare posizioni dominanti, salvaguardare editori e librai evitando di favorire un solo produttore e un grande punto vendita online nelle mani di un unico soggetto».
Nel 2017, dopo 5 anni dall’approvazione definitiva della legge Levi, si era parlato di una revisione, cioè di ridurre lo sconto massimo applicabile al 5%. All’epoca anche le grandi case editrici come Mondadori, Giunti e Feltrinelli sembravano essere d’accordo con la proposta, forse a causa della minaccia incombente da parte di colossi dell’e-commerce come Amazon. Maurizio Zicoschi, libraio indipendente romano e curatore della piattaforma online «SatelliteLibri», affermava: «Se il tetto fosse fissato al 5% i prezzi scenderebbero di sicuro perché un editore nel momento in cui deve fissare il prezzo di copertina sa già che nelle catene e sugli store online li venderà con lo sconto al 15%. C’è quindi automaticamente un rincaro che potrebbe annullarsi. I prezzi, che oggi sono gonfiati, si abbasseranno».
La questione è sicuramente complessa e ha radici profonde: la legge Levi secondo molti andrebbe rivista e inserita in un discorso culturale più ampio. Viene infatti spesso messo in risalto da molti esperti del settore che le librerie sono degli importanti presidi culturali e in particolar modo quelle indipendenti. Queste infatti nascono da un profondo legame con la zona e con il territorio, forniscono un luogo d’incontro per la comunità e veicolano iniziative culturali cittadine.
Nel novembre 2018 il deputato Daniele Belotti, capogruppo della Lega in commissione cultura e istruzione alla Camera, presenta un progetto di revisione alla legge Levi del 2011 con lo scopo di ridurre gli sconti eccessivi praticati sui libri dalle grandi catene e dalle multinazionali dell’e-store che contribuiscono di anno in anno alla decimazione delle piccole librerie. La Comunità Europea fin dal 2001 aveva sollecitato i paesi membri a adottare leggi sul prezzo fisso oppure a promuovere accordi che andassero nella direzione della tutela delle piccole realtà. Provvedimenti di questo tipo sono stati negli anni adottati da paesi come la Francia o la Germania, che proteggono le librerie con rigide leggi sulla possibilità di sconto, favorendo così la libera concorrenza.
La Legge Levi nacque con lo scopo di introdurre regole che garantissero la differenza e il pluralismo nella produzione editoriale. A tal fine la legge introdusse un tetto massimo del 15% di sconto sul prezzo di copertina, ma alla prova dei fatti tale norma viene molte volte aggirata attraverso diversi escamotage. Quindi, affinché si rispettino queste finalità, è necessario modificarla riducendo al 5% il tetto massimo per gli sconti, con la conseguente riduzione dei prezzi di copertina oggi gonfiati per poter ammortizzare ribassi più sostanziosi. Va precisato, inoltre, che lo sconto del 15% come tetto massimo è il più alto d’Europa.
Il modello preso come riferimento dall’attuale governo per porre un freno alla diminuzione della presenza di librerie sul territorio è sicuramente quello francese. Infatti il sistema applicato in Francia ha portato risultati positivi, registrando la crescita di librerie sul territorio, mentre in Italia si evidenzia un calo. Si spera dunque che dopo oltre dieci anni di tentativi di rendere equo il commercio librario, attraverso leggi e revisioni, si possa finalmente arrivare a una proposta che tuteli realmente le realtà che non poggiano le proprie fondamenta sui grandi colossi editoriali.