Se non canta, non vive. È Domenica “Mimì” Bertè, ribattezzata Mia Martini, nata nel sole di Bagnara Calabra, «un sole che ci fa le radiografie appena nati», in un luogo dove gli odori e i colori si riflettono forti e violenti anche nell’animo.
La vita della cantante calabrese corre tra gli eccessi e si snoda tra storie d’amore impetuose e grandi trionfi, ma anche tra delusioni, emarginazione e sconfitte. Trovata morta il 14 maggio del 1995 con le cuffie di un walkman nelle orecchie e il sorriso sulle labbra, la nota cantante di Donna, Minuetto, E non finisce mica il cielo, ha lasciato nel cuore degli italiani una domanda: Mimì, per te, sarebbe potuto andare diversamente?
Le scuse fatte ora hanno un retrogusto amaro. Le domande sono salti nel vuoto. Infatti, nonostante il riscatto a Sanremo 1989 con Almeno tu nell’universo che le valse il Premio della Critica, l’accusa che gravò sul capo dell’artista fin quasi all’ultimo respiro fu quella di portare sfortuna. Fu costretta al ritiro dalle malelingue, messa al bando per una decina d’anni dalle case discografiche, dai festival e dal mondo della musica. E ora Mia Martini torna, con la sua vita che è una guerra, a interrogarci.
Io sono Mia
Febbraio è il mese di Sanremo: quello del 2019 si è concluso da poco con una serie di polemiche. Tralasciamole per un attimo: parliamo di un altro Sanremo, quello del 1989. È da qui infatti che prende le mosse il biopic Io sono Mia, diretto da Riccardo Donna e trasmesso su Rai Uno il 12 febbraio dopo una distribuzione cinematografica di soli tre giorni. Si tratta di una produzione ricca di affondi introspettivi nella vita della cantante calabra, frutto della consulenza del regista con le altre sorelle Bertè, Olivia e Loredana.
Al centro della narrazione vi è la tormentata vita di Mia, magistralmente interpretata dalla conduttrice e attrice italiana Serena Rossi, vita che viene ripercorsa attraverso una serie di flashback. L’occasione è un’intervista rilasciata a una giornalista poco prima prima dell’esibizione del 1989.
Ora, la pellicola, in quanto prodotto destinato al pubblico televisivo con un taglio essenzialmente divulgativo, ha i suoi limiti. Senza infamia e senza lode quasi tutto il cast, stereotipato e semplicistico il lavoro sul rapporto dell’artista con il padre. Una piaga insanabile resta poi l’assenza dal film del grande amore della cantante, Ivano Fossati, che ha negato, accanto all’amico Renato Zero, i diritti di rappresentazione. La figura di Ivano viene sostituita dunque da quella di un immaginario fotografo di nome Andrea (Maurizio Lastrico) che, per quanto ispirato all’originale, lascia nello spettatore, e soprattutto nel fan, una nota non lieve di delusione.
Se Io sono Mia reca in sé molte debolezze, ha senza dubbio anche un grande punto di forza: Serena Rossi, che diventa Mia, voce, anima e corpo. Che cosa abbia significato per l’attrice napoletana interpretare Mimì lo rivela lei stessa nel corso di ogni intervista, tra lacrime di commozione. Scoprire Mia significa vuol dire imbattersi in una storia incredibile, la storia di una donna dalla grande fame d’amore. Una donna col sorriso, una donna guerriera.
Non dovevamo imitarla, sarebbe stato riduttivo. Perché l’imitazione spesso non ha un’anima. Io volevo interpretarla, farla rivivere e questo film è un atto d’amore.
L’amore
«Ogni volta che vai via, io muoio un po’ di più». Tutto nel film ruota attorno a un unico sentimento, potente e graffiante, come la voce dell’artista. È l’amore per la musica, che diventa amore per il pubblico nel momento in cui la musica viene regalata ad altri; l’amore per Andrea/Ivano Fossati, in grado di trascinare in un vortice di felicità e ingenuità quasi fanciullesca, ma anche quello inquieto e sofferto per il padre.
L’amore si fa parola e persino grido. Dalla consacrazione presso il pubblico con Piccolo uomo, nel 1972, passando per Minuetto, Gli uomini non cambiano, fino alla già menzionata Almeno tu nell’universo, Mia Martini forse più di ogni altra interprete italiana ha saputo cantare l’amore in tutte le sue forme e in tutti i suoi volti, che sono uno, nessuno e centomila.
«Continuo ad aspettarti nelle sere per elemosinare amore»: è una bellissima confessione tratta da Minuetto, tra i capolavori, un brano scritto per la cantante dall’allora ancora poco conosciuto Franco Califano. Protagonista di un testo quantomai struggente è una donna che viene continuamente sedotta e poi lasciata sola, vittima di una relazione che la appassiona, ma che non sarà mai in grado di soddisfarla. Che sia lo specchio di Mimì?
E vieni a casa mia, quando vuoi, nelle notti più che mai,
dormi qui, te ne vai, sono sempre fatti tuoi.
Tanto sai che quassù male che ti vada avrai
tutta me, se ti andrà per una notte…
… E cresce sempre più la solitudine,
nei grandi vuoti che mi lasci tu!
Il ricordo dell’artista si fa vivo. Serena Rossi, nel limite di un’estensione vocale ovviamente diversa da quella di Mimì Bertè, canta sul palco di Sanremo 2019, come nel film, l’ultimo minuetto. E l’Italia, con le sue scuse, si unisce a questo ultimo atto d’amore, rivolto a chi l’amore vero, che «non so che sorriso ha», l’ha cercato per tutta la vita.
Chissà se avrò paura
O il senso della voglia di te
Se avrò una faccia pallida e sicura
Non ci sarà chi rida di me
Se cercherò qualcuno
Per ritornare in me
Qualcuno che sorrida un po’ sicuro
Che sappia già da sé.
Molti di noi non erano ancora nati quando morì Mia Martini. Non possiamo rivolgere le nostre scuse a chi non abbiamo conosciuto, ma possiamo dire forte e chiaro il nostro grazie. Perché il cuore, che ha incontrato Mia nel racconto di una vita appassionata e senza compromessi nel dolore, si è riempito di amore.
Ascoltatela.
Non finisce mica il cielo Mimì, ma tu resta qua.