Il 6 febbraio si è celebrata la giornata internazionale contro le mutilazioni genitali femminili. Questa pratica è ancora molto diffusa nei paesi africani e mediorientali, tant’è che le stime parlano di 200 milioni di donne soggette a questa usanza in oltre trenta paesi del mondo.
La tradizione comprende quattro tipi di mutilazione dei genitali femminili. Il primo tipo prevede l’asportazione parziale o totale del clitoride oppure il taglio netto del prepuzio clitorideo; tra la popolazione africana tale operazione viene chiamata sunna. Il secondo tipo o escissione è simile al primo, ma in aggiunta anche le piccole labbra vengono asportate parzialmente o totalmente. Il terzo tipo, chiamato infibulazione o circoncisione faraonica (faraonica perché la tradizione vuole che la pratica sia nata in Egitto al tempo dei faraoni) è una delle operazioni più invasive, oltre a prevedere l’asportazione propria del primo e secondo tipo, consiste nella rimozione anche delle grandi labbra e nella cucitura dell’apertura vaginale, lasciando solamente una piccolissima apertura. Il quarto tipo è abbastanza diverso dai precedenti perché prevede diverse tipologie di pratiche invasive che dipendono dall’etnia di appartenenza, in alcune tribù ad esempio si inseriscono nella vagine sostanze corrosive per ridurne la dimensione o evitare la mucosa.
L’operazione è considerata dalle donne del villaggio e dall’intera tribù come un momento significativo nella vita della bambina o ragazza che verrà mutilata, questo rito di passaggio consente alla donna di raggiungere il suo stato definito di femmina. Si crede infatti che, prima dell’intervento, la donna non sia né uomo né donna, perché i suoi genitali sono considerati sia maschili che femminili, dato che il clitoride è ritenuto un’escrescenza che ricorda il pene maschile, con l’operazione dunque si rimuovono quelle parti considerate non femminili per rendere la donna una volta per tutte femmina e futura sposa. Solamente grazie alla mutilazione dei genitali la ragazza o bambina potrà trovare marito ed evitare così di essere emarginata dalla società, possibilità che spaventa e terrorizza soprattutto i genitori in quanto tale eventualità è considerata una tra le più disonorevoli tra le famiglie.
Questo rito di passaggio prevede diverse fasi: la prima consiste nell’allontanamento della giovane dalla società poiché deve prepararsi fisicamente e mentalmente al passaggio di grado, successivamente si procede con la mutilazione dei genitali che avviene sempre in condizioni assolutamente non igieniche dato l’utilizzo di una lametta tramandata di generazione in generazione ovviamente non sterilizzata, infine la ragazza deve rimanere diverso tempo isolata dalla società per consentire la guarigione, ma soprattutto per insegnarle ad usare il suo nuovo corpo. L’asportazione di gran parte della vagina infatti causa non indifferenti problemi alla deambulazione delle donne, poiché a causa della cucitura le cosce sono più riavvicinate, così da non permettere un’apertura adeguata delle gambe, per questo molte donne hanno problemi a camminare e possono scordarsi come correre o come giocare a calcio con gli amici, in quanto un movimento troppo brusco riaprirebbe la ferita, causando ulteriore dolore alla ragazza.
Erroneamente si crede che una simile brutalità sia prevista anche dal Corano e ci si interroga spesso sul perché nella religione musulmana la mutilazione dei genitali femminili abbia riscontrato così tanto “successo”. La questione è pressoché semplice, infatti la struttura della società musulmana, così come in molte tribù africane (non tutte poiché in alcune la struttura è matriarcale e matrilineare) è patriarcale, dunque gli uomini per ribadire e rimarcare il loro dominio sulle donne hanno trovato la pratica in linea con gli scritti del Corano. Ciò non vuol dire che la religione cristiana non sia stata per tantissimi secoli prettamente maschilista, ma a differenza dei musulmani quando i primi missionari tentarono di convertire il continente africano, hanno cercato di abolire la mutilazione dei genitali perché troppo cruenta nei confronti delle donne. La popolazione africana però non si è mai trovata d’accordo con ciò, tant’è che moltissimi missionari cristiani sono stati brutalmente assassinati e torturati per il loro tentativo. Al contempo i musulmani hanno trovato invece un terreno più semplice entro il quale diffondere la propria religione, proprio perché avevano accettato e adoperato egli stessi questa pratica.
La difficoltà di estirpare questa pratica così invasiva e dolorosa è dovuta al fatto che le donne coinvolte in prima persona per moltissimo tempo non hanno voluto parlare ne tanto meno opporsi alla mutilazione dei propri genitali. Dopo la seconda guerra mondiale, quando le donne femministe in tutto il mondo hanno iniziato a far sentire la propria voce, hanno cercato -soprattutto le americane- di spingere le donne africane a denunciare e a battersi per l’abolizione della pratica, ma tutto è stato vano poiché le dirette interessate sembravano addirittura infastidirsi quando l’argomento veniva discusso. L’omertà e il silenzio sono stati abbattuti solamente un paio di decenni fa e grazie a ciò moltissime ragazze oggigiorno hanno potuto sottrarsi alla mutilazione dei genitali: in alcuni paesi africani la pratica è pian piano messa al bando o comunque in diminuzione grazie al contributo diretto dei Presidenti e delle associazioni umanitarie, pensiamo alla Liberia (abolita solo per un anno), Tanzania, Kenya, Guinea e altri ancora.