In queste settimane siamo continuamente “bombardati” da una delle questioni più importanti che sta interessando il biennio: la crisi del Venezuela. E tra le voci dei talk e le informazioni che recepiamo ogni giorno, particolare è la critica che si è sollevata contro l’Italia. Mentre Russia, Cina, USA si litigavano il valore geopolitico del paese, l’Italia si è definita “prudente” di fronte alla questione. Il Presidente del Consiglio Giuseppe Conte ha dichiarato: «Auspichiamo la necessità di una riconciliazione nazionale e di un processo politico che si svolga in modo ordinato e che consenta al popolo venezuelano di arrivare quanto prima a esercitare libere scelte democratiche», mantenendosi contrario verso qualunque forma di imposizione sul territorio. Mentre il Presidente della Repubblica Mattarella si è dichiara favorevole, con le seguenti parole: «non vi può essere né incertezza né esitazione: la scelta tra volontà popolare e richiesta di autentica democrazia da un lato, e dall’altro la violenza della forza e le sofferenze della popolazione civile».
I due vice-premier invece si scontrano per visioni differenti: Salvini con «Maduro è un fuorilegge, si vada alle elezioni»; mentre Luigi Di Maio con «Non dobbiamo schierarci né con Maduro né con Guaidò. Non vogliamo un’altra Libia». Lo schieramento italiano da non unitario che con il tempo ha acquisito una forma equilibrata, verso una linea di pensiero in sintonia con quello europeo e americano: la richiesta di nuove elezioni.
La verità è che quanto sta ora succedendo offre un importante spunto, che necessariamente dovremmo tutti cogliere. Quello per riflettere sul potere di un popolo di autodeterminarsi. Tra le parole di Conte e di Mattarella riecheggia il potere della volontà popolare e il bisogno che questa si possa esprimere al meglio. Ed è questo alla base di uno dei più importanti principi del diritto consuetudinario internazionale.
Il principio di autodeterminazione dei popoli sancisce così infatti l’obbligo per gli Stati di permettere a un popolo, che sia sottoposto a dominazione straniera, o occupazione o colonizzazione, la possibilità di determinare autonomamente il proprio destino. Le modalità sono le seguenti: ottenendo l’indipendenza; associandosi o integrandosi a un altro stato già esistente; scegliendo autonomamente il proprio regime politico.
Il limite è insito nella materia: il diritto internazionale infatti non prevede la possibilità che il suddetto diritto sia in capo a un popolo. Bensì è lo stato in sé ad essere il vero titolare del diritto di autodeterminazione del proprio destino.
Il suddetto principio ha inoltre una storia breve. Tutto inizia nel lontano 1919, in occasione del Trattato di Versailles. Fu proprio in quel momento che Woodrow Wilson enunciò per la prima volta il suddetto principio. La cui sua prima applicazione avvenne solo al momento della determinazione dei nuovi confini delle potenze della Triplice Alleanza, sconfitte dalla prima guerra mondiale. Fu infatti questa l’occasione che vide i plebisciti dell’Alta Slesia e della Prussia Orientale: massima rappresentazione del diritto di autodeterminazione. E fu nel Novecento, nel 1945, che l’Organizzazione della Nazioni Unite ne promosse lo sviluppo. Così, all’articolo 1, paragrafo 2, della Carta delle Nazioni Unite è possibile leggere: “Sviluppare tra le nazioni relazioni amichevoli fondate sul rispetto e sul principio dell’eguaglianza dei diritti e dell’auto-determinazione dei popoli…“
Il principio è stato inoltre oggetto di numerose opere di codificazione, quali il “Patto internazionale sui diritti civili e politici” stipulato nel 1966. E come non citare la “Dichiarazione relativa alle relazioni amichevoli ed alla cooperazione fra stati”che impose l’obbligo di non ricorrere a qualunque tipo di azione coercitiva funzionale a privare i popoli del loro diritto all’autodeterminazione. Infine, massima rappresentazione di questo processo, il suo superfluo culmine risiede nell’ Atto Finale di Helsinki del 1975, in occasione della Conferenza per la sicurezza e la cooperazione in Europa:si sancisce tutti i popoli hanno il diritto di poter stabilire in piena libertà il proprio regime politico senza alcun tipo di intromissione da parte delle forze internazionali; potendo perseguire secondo il proprio desiderio i propri interessi culturali, sociali e economici.
La Comunità internazionale non deve e non può così intromettersi nella determinazione interna di una nazione, che sia costituzionale o meno; perché è questa è la vera espressione della libertà. Libertà necessaria per favorire la decolonizzazione e lo sviluppo dei paesi in via di sviluppo, liberi da qualunque genere di repressione da parte dei popoli più forti.
“Corso di diritto Internazionale” di Sergio Marchisio