Tutto inizia con la figura etimologica Vivere la vita, espressione che vuole evidenziare quello che Mannarino vorrebbe ottenere, cioè rimarcare il significato del vivere, e farne capire a tutti l’estrema grandiosità.
Alessandro Mannarino, conosciuto anche solo come Mannarino, classe ’79, è un cantautore romano molto apprezzato e molto conosciuto, che davvero non ha bisogno di presentazioni. Quattro album in studio e tanta esperienza alle spalle, tanta ispirazione ma soprattutto la volontà di raccontare storie: non a caso è stato spesso paragonato a Fabrizio De André. Anche Mannarino, infatti, è solito raccontare con la sua musica storie di persone emarginate dalla società come alcolizzati, prostitute, senzatetto, ma non è il solo scopo dell’artista:
“L’arte deve essere scontro col potere, se la svuoti di questo senso di riflessione del tempo non ha più forza, è solo evasione. Ma questo alla fine cambia la vita delle persone, bisogna anche farsi qualche domanda sul mondo in cui viviamo. Su quello che ci stanno facendo.”
Infatti, come è possibile cogliere dall’affermazione del cantautore, nella sua musica è centrale la tematica della spersonalizzazione che la società odierna opera sull’individuo: fatto che fa perdere gradualmente il senso della propria esistenza. Ed è proprio questo a trasparire in modo prepotente come tematica centrale del singolo: esso è un vero e proprio inno alla vita.
Ma la cosa che più colpisce della traccia è il fatto di essere narrata/cantata dalla voce di un bambino. Mannarino ha voluto operare un importante sovvertimento della prospettiva, come per esortare l’ascoltatore a vivere con la limpidezza dell’infanzia. Il risultato, però, è un po’ grottesco: la voce è di un bambino, sì, ma i ragionamenti e il lessico spaziano dall’essere molto semplici e immediati all’essere oscuri e specifici. Per esempio, l’intro è costituito da una frase molto semplice: “Vivere la vita è una cosa veramente grossa”, così come anche molto infantile è il paragone tra il vivere la vita e un girotondo. Ma è presente anche un paragone tra il vivere la vita e una grossa ubriacatura (non esattamente un concetto proprio dell’immaginazione di un fanciullo) o riferimenti al governo, a una “lei” che “si truccava forte per nascondere un dolore”, a un “lui” che “si infilava le dita in gola per vedere se aveva un cuore”.
È indubbio, poi, che la parte più sorprendente da sentire pronunciare sia questa:
“Puoi cambiare camicia se ne hai voglia,
E se hai fiducia puoi cambiare scarpe.
Se hai scarpe nuove puoi cambiare strada,
E cambiando strada puoi cambiare idee,
E con le idee puoi cambiare il mondo!
Ma il mondo non cambia spesso,
Allora la tua vera Rivoluzione sarà cambiare te stesso.”
Il fatto che un bambino sia riuscito a fare una semplice ma efficace analisi della fenomenologia ideale (e non reale) di un cambiamento è quello che più stupisce un adulto medio. Perché meraviglia enormemente che sia così semplice a livello logico l’idea di far partire un cambiamento dal proprio io, invece che lamentarsi di ciò che avviene al di fuori della propria sfera di controllo.
La conclusione del testo è esemplificativa di tutto quello che Mannarino ha voluto comunicare al suo pubblico:
“E ora eccoti sul letto che non ti vuoi più alzare,
E ti lamenti dei Governi e della crisi generale.Posso dirti una cosa da bambino?
Esci di casa. Sorridi. Respira forte.
Sei vivo!, cretino.”
Perché per quanto ci si possa sentire sopraffatti dal caos della vita, per quanto si possa essere eternamente insoddisfatti, bisognerebbe essere grati delle cose a cui non diamo mai abbastanza importanza: la vita, la capacità di respirare, il fatto di avere una casa. Ciò che Mannarino vuole esortare a fare, inoltre, è a non omologarsi alla massa di coloro che si lamentano senza agire. Se la vita ci è data per un motivo, sicuramente non è quello di vivere nell’inazione e nell’insoddisfazione.
Bisognerebbe, pertanto, vivere con la leggerezza che è tipica dei bambini, imparare ad agire con più lentezza e con più calma, a non lasciarsi sopraffare dalle situazioni. Bisognerebbe imparare a guardare il tutto con occhio più limpido. D’altra parte, questa non deve essere una spinta all’inerzia, anzi. Dovrebbe far venir la voglia di alzarsi dal letto, prendere la propria vita a due mani e fare qualcosa per migliorarla. Perché forse è vero che tante soddisfazioni individuali non ne fanno una collettiva, ma è anche vero che solo in questo modo si può raggiungere una cooperazione volta a un fine ultimo, al bene collettivo. E, forse, è proprio quello che Mannarino aveva in mente.