Il fenomeno degli stupri di guerra è, purtroppo, da sempre strumento di terrore tra i civili durante un conflitto. Si è soliti definire “stupri di guerra” tutte le violenze sessuali commesse su innocenti vittime “civili” da parte di carnefici soldati.
Si hanno testimonianze di questa consuetudine già dopo il secondo conflitto mondiale, soprattutto a opera dei giapponesi verso il popolo coreano. Le ragazze erano convinte di essere portate a lavorare in fabbriche di varie entità per contribuire alla causa bellica ma la realtà era molto diversa da quella che esse si aspettavano. Venivano solitamente deportate in appositi luoghi, detti “campi di stupro”, dove si consumava il fenomeno delle “comfort women”, cioè “donne di conforto”. Queste povere ragazze, donne e, a volte, anche bambine dovevano soddisfare i bisogni dei soldati angosciati dalle efferatezze della guerra. Kim Bok-dong, una delle coreane che ha deciso di testimoniare cosa potesse significare essere una “comfort women”, ha raccontato di come, il Sabato, i soldati si mettevano in fila dalle 12 per continuare fino alle 20 di sera ad approfittare dei loro corpi, come se si trattasse solo di carne da macello. I dati strazianti rivelano che furono adescate tra le ottantamila e le duecentomila donne e bambine e deportate presso le “comfort stations” dislocate in tutto il territorio dell’Asia orientale posto sotto il dominio dell’Impero. Le bambine e le donne erano in gran parte coreane ma se ne contano anche altre di diversa origine, tra cui anche alcune centinaia di donne europee.
È tristissimo pensare a come la strumentalizzazione del corpo delle donne, e non solo, sia diventato, in questi conflitti, un’arma da guerra e, certo, si può parlare di vera e propria violazione di diritti umani, oltre che di una forte umiliazione che dovevano subire tutti coloro che venivano violentati nel modo più brutale. D’altronde era questo lo scopo dei carnefici: brutalizzare, umiliare, terrorizzare il fronte nemico anche attraverso la violenza sessuale dei “civili”. È difficile, oltretutto, dover ammettere che nel corso del tempo queste violenze non si sono ridotte, anzi, testimonianze di ulteriori stupri di guerra si susseguono anche per conflitti successivi. Un caso è quello del genocidio in Ruanda nel 1994. Si contano tra le circa centomila e le duecentocinquantamila donne violentate durante il genocidio, successivamente uccise o morte in seguito alle violenze subite negli stupri.
Lo stesso destino era toccato anche ad altre donne nella ex Jugoslavia. È molto dolorosa la testimonianza di una donna, che, però, nel 1992 era poco più che una bambina, aveva 16 anni. Le truppe serbo-bosniache avevano appena preso Foca, cittadina della Bosnia sudorientale e avevano portato via, trasformandole in vere e proprie “schiave”, diverse bambine, ragazze e donne. La donna in questione non è mai stata nominata direttamente perché il Tribunale penale internazionale dell’Aja, che ha ascoltato la sua testimonianza, ha deciso di tutelarla dandole, piuttosto, un codice. Oltre a raccontare di essere stata prigioniera insieme ad altre ragazze e che i soldati arrivavano quando volevano, ne sceglievano una e la violentavano, ha detto anche di un uomo serbo, suo vicino di casa, con cui prendeva l’autobus ogni mattina, che non si è fatto scrupoli nel violentarla e che un miliziano prima di stuprarla le aveva anche fatto una croce sul ventre.
Lo stupro di guerra è stato anche spesso considerato un vero e proprio “bottino di guerra”, i corpi delle donne facevano parte delle “cose” vinte e questo ha fatto in modo che spesso si accettasse silenziosamente perché considerato inevitabile, come se esso fosse la norma, come se non oltraggiasse la persona, come se non se ne violassero i diritti umani, come se non la si umiliasse. Le donne stesse, o chiunque subisse questa violenza, si rifiutavano di testimoniare questi crimini.
Dopo la seconda guerra mondiale, nonostante l’accusa verso tutte le parti del conflitto di aver adoperato gli stupri come arma da guerra, i Tribunali istituiti a Tokyo e Norimberga non hanno riconosciuto le violenze sessuali tra i cosiddetti crimini di guerra. Qualcosa è cambiato solo quando il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, in seguito ai numerosi stupri di massa subiti dalle donne nella ex Jugoslavia, ha deciso di prendere in considerazione il tema e ha dichiarato che lo stupro di donne, soprattutto musulmane, in Bosnia e in Erzegovina deve essere affrontato come un crimine internazionale. È stato successivamente seguito dal Tribunale Penale Internazionale per la ex Jugoslavia, che ha incluso lo stupro di guerra, accanto ad altri crimini, tra i crimini contro l’umanità qualora esso sia compiuto in occasione di un conflitto armato e contro una popolazione di “civili”, e dal Tribunale Penale Internazionale per il Ruanda che è stato anche il primo a dichiarare la persona accusata colpevole di stupro in quanto reato di genocidio, cioè strumentalizzato per commettere un genocidio.
Anche Lo Statuto di Roma della Corte Penale Internazionale ha incluso lo stupro, la violenza sessuale, la prostituzione, la gravidanza e la sterilizzazione forzate tra i crimini contro l’umanità laddove dovessero essere commessi in modo diffuso e sistematico.
Non dimentichiamo gli effetti negativi che questi tremendi e squallidi abusi possono avere sulla vita della persona violentata. Oltre a poterne causare la morte per l’entità brutale dello stupro, esistono conseguenze minori ma non meno gravi o preoccupanti quali l’infertilità, gravidanze indesiderate, malattie e infezioni sessualmente trasmesse, oltre all’emarginazione per infamia. Dobbiamo prendere in considerazione anche il senso di vergogna che invade le povere vittime che, come nel caso delle donne violentate durante la seconda guerra mondiale, ha reso molto difficile per loro raccontare e testimoniare gli abusi subiti. Anche per le donne vittime di stupri nella ex Jugoslavia le conseguenze sono state diverse ma quasi per tutte è difficile rifarsi una vita, alcune hanno anche tentato il suicidio, altre si sono estraniate da ciò che le è accaduto in passato ma continuano a soffrire di depressione.
Le vittime hanno difficoltà a rifarsi una vita proprio perché sono emarginate per infamia e finché non cambierà questo atteggiamento della società nei confronti degli abusi sessuali e degli stupri di guerra, il cambiamento delle leggi sarà solo il primo passo per arrivare alla punizione di questa spregevole violazione dei diritti umani.