La Francia e la decolonizzazione culturale dell’Africa

La Francia si è dichiarata pronta a restituire le opere d’arte sottratte ai paesi africani. Così ha annunciato il 28 novembre 2017 il presidente della Repubblica francese Emmanuel Macron, durante un discorso tenuto a Ouagadougou, la capitale del Burkina Faso.

Voglio che da qui a cinque anni si creino le condizioni per procedere a restituzioni temporanee o definitive del patrimonio africano in Africa.

Il problema della detenzione di beni culturali di origine africana

È la prima volta che un presidente della Repubblica francese si espone favorevolmente sulla questione della restituzione delle opere d’arte conservate all’interno di musei francesi, fin dai tempi della colonizzazione. Una posizione giudicata decisamente controtendenza rispetto alle precedenti. Basti pensare alla richiesta avanzata dal Benin nell’aprile 2016: la restituzione di alcune statue appartenenti alla propria cultura, che rappresentavano figure antropomorfe e ricoperte da emblemi reali, trafugate dal colonnello francese Alfred Dodds nel 1892 e poi offerte al museo etnografico di Trocadéro. La Francia rispose solamente quattro mesi dopo, sostenendo che non vi fossero ragioni legali valide per la restituzione.

Giuridicamente infatti la Convenzione Unesco del 1970, ratificata dalla stessa Francia e volta a impedire l’illecita importazione, esportazione e trasferimento di proprietà di beni culturali, non ha effetto retroattivo. Ma la detenzione di beni culturali di origine africana non è una realtà riguardante la sola Francia: il British Museum di Londra, per esempio, possiede 69mila oggetti provenienti dall’Africa Sub-Sahariana, mentre il Musée Royal de l’Afrique Centrale in Belgio ne consta 180mila. Numeri esorbitanti, se paragonati a quelli degli inventari dei musei nazionali africani: 3mila, e quasi tutti di poca rilevanza, come dichiara l’esperto Alan Godonou.

Al di là dei metodi legali a disposizione, è fondamentale riflettere sulle effettive possibilità da un punto di vista culturale e antropologico, della restituzione di beni che si contraddistinguono per il loro interesse storico, artistico, spirituale.

Il rapporto Savoy-Sarr

In Francia e all’estero la dichiarazione di Macron ha preoccupato molto i conservatori dei musei e irritato i commercianti. Il 22 marzo 2018 è stata annunciata una missione affidata dall’Eliseo a due accademici, la francese Savoy e il senegalese Sarr, che hanno consegnato una relazione ufficiale, pubblicata a fine novembre dello stesso anno dalla casa editrice Seuil.

Il rapporto Savoy-Sarr conta 232 pagine. Le prime ottanta scritte con il fine di proporre una metodologia globale, ponendo i limiti di riferimento: l’Africa Sub-Sahariana da un lato e le collezioni pubbliche francesi dall’altro. Esclusi invece i casi dell’Algeria e dell’Egitto, perché «derivanti da un contesto di appropriazione che fa riferimento a legislazioni molto diverse». Le prime pagine ricordano come le domande di restituzione risalgano già alla fine dell’impero coloniale e come siano state respinte per oltre cinquant’anni: molti oggetti semplicemente prestati dall’Africa alla Francia non sono mai stati restituiti.

Il Musée du quai Branly di Parigi
È proprio questo ultimo termine a titolare il secondo capitolo del rapporto: Restituire

Restituire al legittimo proprietario del bene il suo diritto di utilizzo e godimento, così come tutti i benefici derivanti dalla proprietà.

Non si tratterebbe di una restituzione temporanea, bensì di una «risocializzazione degli oggetti del patrimonio». Cosa vada restituito implica però un inventario, che al momento è ancora incompleto.

La maggior parte degli oggetti arrivati in Francia proviene da popoli colonizzati dalla Francia stessa, presupponendo metodi di esproprio brutali, con «un’estrema disinvoltura in materia di approvvigionamento», scrive la relazione. Fino alla Prima guerra mondiale, con l’eccezione di qualche circolo artistico molto ristretto (ricordiamo, tra gli altri, Apollinaire e Picasso), questi oggetti sono stati presi in considerazione esclusivamente come prova della barbarie di questi popoli. Come una sorta di giustificazione della colonizzazione, dei saccheggi e delle missioni religiose.

Il rapporto distingue diversi tipi di relazioni tra paese coloniale e colonizzatori, in ordine di violenza decrescente:

  • I bottini di guerra e le spedizioni punitive;
  • Le raccolte delle missioni etnologiche e dei “raid” scientifici finanziati dalle istituzioni pubbliche;
  • Gli oggetti provenienti da queste operazioni, passati per mani private e donate ai musei da eredi degli ufficiali o funzionari coloniali;
  • Gli oggetti risultanti da traffici illeciti dopo l’acquisita indipendenza.

Infine, la relazione afferma senza mezzi termini di «accogliere favorevolmente le domande di restituzione». Seguendo una cronologia, partendo dai bottini di guerra e arrivando alla creazione di inventari molto precisi e di approfondite ricerche archivistiche, così da permettere la delibera caso per caso. La proposta è di inserire all’interno del codice del patrimonio francese una sezione specificatamente relativa al patrimonio africano o, in extremis, un testo di legge autonomo, da emendare prima di essere sottoposto al voto dei parlamentari stessi.

La nozione di consensualità

La cosiddetta nozione di consensualità rimane però il punto cruciale e l’ostacolo principale. La relazione afferma che la restituzione sarebbe possibile solo se ci fossero «testimonianze esplicite del pieno consenso dei proprietari o custodi degli oggetti». Nella stragrande maggioranza dei casi mancheranno quindi elementi di risposta. Anche e soprattutto per le diverse modalità in cui sono avvenute le acquisizioni iniziali di questi oggetti (bottini di guerra, furti, ma anche baratti e acquisti).

Macron nel frattempo, si è detto favorevole a ogni forma di circolazione delle opere, attraverso restituzione, prestiti, scambi, depositi o mostre. Così i ministeri della cultura e degli esteri avranno un ruolo di primo piano. Insieme ai musei dovranno identificare i partner africani e organizzare la circolazione delle opere. L’Eliseo, inoltre, vorrebbe estendere l’iniziativa anche agli altri paesi europei. Ha ipotizzato una riunione per trattare proprio di questo tema, nei primi mesi del 2019.

 

Leggi anche: I Beni Culturali e il problema della restituzione

 

 



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