Nel leggere la parola Kintsugi vi verrà sicuramente in mente il mondo orientale, che nel corso dell’ultimo secolo è riuscito a far conoscere la propria cultura e le proprie antichissime tradizioni anche in Europa. Nell’ideale occidentale è facile cadere nei clichè e immaginare un Oriente fatto di cartoni animati e sushi, ma questa volta non parliamo ne di Anime, ne di all you can eat. Il Kintusgi (金継ぎ) o kintsukuroi (金繕い) è una parola giapponese composta da kin 金 (oro) e tsugi 継ぎ (riparare), ovvero l’arte di riparare ciotole, vasi, piatti rotti unendo le varie parti con la lacca urushi, che si ricava dalla pianta Rhus verniciflua, e polvere d’oro o altri materiali preziosi come l’argento.
Questa tecnica artistica risale al XV secolo, più precisamente al periodo della dinastia Muromachi. La leggenda narra che lo Shogun Ashikaga Yoshimasa (1435-1490) ruppe una delle sue preziosissime tazze da tè. Dopo un primo tentativo di riparazione tramite delle graffe in ferro che causarono un forte dissenso da parte del proprietario, i ceramisti giapponesi decisero di tentare con la tecnica estetica del wabisabi. Il tentativo fu particolarmente apprezzato da Yoshimasa, il quale rimase incantato dallo splendore e soprattutto dall’unicità che le venature dorate donavano alla sua tazza. Questa tecnica si diffuse velocemente tra i vari ceramisti dell’epoca, nonostante la sua alta difficoltà d’esecuzione – i mastri ceramisti possono impiegare anche un intero mese per realizzare un solo oggetto -. Da questa storia si è dunque propagata a macchia d’olio una nuova immagine estetica dell’oggetto basata sulla bellezza causale. Si narra che spesso le tazze o i piatti venissero rotti appositamente per essere aggiustati utilizzando questa tecnica e oggi vengono addirittura esposti in numerosi musei giapponesi.
Ma come mai questa splendida arte ha avuto così tanto successo? La risposta è strettamente legata alla filosofia Zen scaturita dalla storia della sua origine e al significato che va oltre alla
- La rottura, il momento di massimo sconforto in cui si crea la ferita;
- Assemblare, cioè ricostruire come un puzzle ciò che ci ha portato a quel momento;
- Pazientare, darci del tempo per capire il modo migliore per tornare a stare meglio e per eliminare il superfluo;
- Riparare, ritornare finalmente integri;
- Rivelare, prendere consapevolezza della propria fortuna;
- Esaltare, mostrare il proprio splendore e gioirne.
Il Kintsugi è la prova che a volte un errore può trasformarsi in qualcosa di bellissimo. Non bisogna vergognarsi di mostrare le proprie ferite perché queste possono contribuire a renderci più forti. Proprio come non bisogna liberarsi di un oggetto rotto ma cercare di aggiustarne i pezzi per creare qualcosa di straordinario, noi stessi dobbiamo ricomporci, fare tesoro delle nostre esperienze negative e dei traumi del passato per vivere la vita in maniera più positiva. È importante rendersi conto che sono proprio i momenti peggiori che ci hanno reso quelli che siamo e che ogni cicatrice, ogni ferita, racconta una storia che vale la pena di essere raccontata. La bellezza di questi oggetti, oltre a essere una gioia per gli occhi, nasconde una metafora, un monito che può sicuramente aiutare ad affrontare la vita.