Leggere, leggere sempre di più. Sembra essere l’obiettivo fondamentale dei cosiddetti “bibliofili”, o semplicemente di coloro che fanno della lettura la principale occupazione del tempo libero. Capita spesso di entrare in una libreria ed essere inebriati dall’odore pregnante di libri nuovi. Di perdersi tra gli scaffali e trovarsi con una pila infinita di volumi davanti alla cassa, senza nemmeno rendersene conto. Oppure di lasciarsi ammaliare dalle pagine ingiallite di vecchi tomi di seconda, terza o quarta mano. Copertine colorate, trame invitanti, quel romanzo tanto famoso che vorrei leggere, quell’autore di cui ho sentito parlare tanto bene, il libraio che consiglia l’ultima uscita di una casa editrice sconosciuta ma tanto promettente.
E subito il lettore si trova inabissato da libri che vorrebbe ma che non ha abbastanza soldi per comprare, né spazio a sufficienza per sistemare. Ma alla fine esce lo stesso soddisfatto con una busta colma di libri, che impilerà in qualche angolino remoto della casa e che non avrà tempo di leggere. Chi ama leggere e lo fa quotidianamente ha spesso la sensazione che la vita sia troppo breve per portare a compimento tutte le letture che vorrebbe. Così il bibliofilo completa liste, fotografa libri e accumula fino allo sfinimento, preso da un vortice di compulsione.
Questo “disturbo”, se così lo si vuole definire, ha un nome esatto nella lingua giapponese, si chiama Tsundoku. È una pratica diffusa tra i lettori più voraci e consiste nell’acquisto continuo di libri che finiscono poi per accumularsi in pile infinite. Fino a quando non giunge, forse, il momento in cui ci decidiamo ad aprire uno di questi libri e finalmente leggerlo. Ma il tempo che si spende per comprare dei libri è nulla se paragonato al tempo che si impiega a leggerli, per questo si crea uno squilibrio nelle tempistiche. In poco tempo si comprano molti libri, in molto tempo si leggono pochi libri, e questo porta inevitabilmente all’accumulo.
La parola Tsundoku è di origine giapponese, ed è in realtà un gioco di parole. Il termine nasce in epoca Meiji (1868-1912), e il suo nucleo è dato dal verbo 積んでおく, ovvero “tsunde oku”, che significa “accumulare e lasciare lì per un po’”. Secondo alcune interpretazioni, la parte “doku” della parola poteva essere espressa dal kanjii ‘読’, che letteralmente indica l’atto della lettura. In questo modo è stato poi possibile creare la parola attualmente in uso, che si riferisce all’azione di “acquistare materiali di lettura e accumularli da qualche parte per un po’”. Oggigiorno la parola è entrata nell’uso comune, si trova infatti anche nei dizionari che riportano i termini stranieri maggiormente in uso.
Nonostante la parola sia stata coniata relativamente poco tempo fa, il fenomeno ha in realtà origini antiche. Infatti la pratica era già diffusa nel Medioevo, per lo più tra gli arabi, anche se non nei termini patologici ed estremi che la pratica talvolta assume odiernamente. Gli occidentali guardavano con disprezzo l’accumulo di manoscritti e tale negatività a riguardo permane anche nell’Illuminismo. Si riteneva infatti che chi comprava un numero eccessivo di volumi senza avere l’effettiva possibilità di leggerli fosse egoista e avido, per la scarsità di libri in circolazione. Solo nel XX secolo, con la nascita della moderna editoria e la vasta accessibilità ai testi mediante biblioteche pubbliche e prezzi abbordabili, la pratica dell’accumulo ha perso la sua valenza negativa.
È necessario fare però un’importante distinzione tra bibliofili e bibliomaniaci. Il bibliofilo è colui che accumula un numero limitato di libri che legge e rilegge di continuo. Il bibliomaniaco è invece chi accumula incessantemente volumi tanto da rendere la propria casa invivibile, senza nemmeno rendersene conto. La bibliomania non è un disturbo a sé stante, ma rientra in un tipo specifico di disposofobia, ovvero la tendenza che porta i soggetti ad accatastare materiali rubati o comprati, senza che questi siano poi in grado di disfarsene. Le cause di questo tipo di nevrosi non sono del tutto chiare, anche se alcuni studiosi hanno individuato una correlazione tra la disposofobia e altri disturbi come quello ossessivo-compulsivo o quello da deficit dell’attenzione e iperattività.
Si può però individuare una lieve differenza tra disposofobico e bibliomaniaco. Mentre il primo è incapace di liberarsi degli oggetti in eccesso, sebbene questi siano spazzatura, il secondo accumula consapevolmente i libri, come un vero collezionista. Nel corso della storia si trovano casi esemplari di bibliomaniaci, personaggi che faranno rivalutare a chiunque si sia riconosciuto nelle parole lette fino a ora la mole del proprio “disturbo”. La bibliomania è spesso associata a disturbi ulteriori, quali la cleptomania. Come dimostra per esempio il caso di Stephen Blumberg che nel 1990 fu arrestato con l’accusa di aver trafugato più di 23 mila libri rari. O come Don Vincente, monaco spagnolo che durante il XIX secolo arrivò a compiere degli omicidi pur di appropriarsi dei libri altrui.
Non bisogna dunque confondere la bibliomania, condizione patologica, con la bibliofilia alla quale si riferisce anche il termine Tsundoku. È infatti normale nelle condizioni economiche e sociali nelle quali il mondo occidentale si trova oggi comprare più di ciò che è effettivamente utile, in adesione con il pensiero consumista. Si potrebbe in conclusione definire la bibliofilia come un amore profondo per i libri e per la lettura. I libri che compriamo rappresentano in fondo chi siamo, e quelli che non leggiamo chi vorremmo diventare. Questo rientra in quella spassionata ricerca di sé che ciascuno conduce durante tutta la sua vita. Leggere permette di vivere vite che mai si potranno vivere e di immergersi in scenari che mai si sarebbero potuti immaginare.
«Chi non legge, a 70 anni avrà vissuto una sola vita: la propria. Chi legge avrà vissuto 5000 anni: c’era quando Caino uccise Abele, quando Renzo sposò Lucia, quando Leopardi ammirava l’infinito. Perché la lettura è un’immortalità all’indietro.»
E forse è proprio nelle parole di Umberto Eco che si può trovare la motivazione di questo incessante acquisto di libri. La risposta è probabilmente nella voglia di vivere più vite, di avere più possibilità e di lasciarsi andare a destini ignoti, di essere mortali e immortali al tempo stesso, ripercorrendo all’indietro vite mai vissute.