Immagini ad alta risoluzione e preziosi cataloghi di mostre sono il tesoro che il MoMA rende accessibile gratuitamente al suo pubblico. E non è il solo! Altre importanti istituzioni museali lo accompagnano in un progetto che accoglie la rivoluzione digitale per preservare e diffondere la tradizione.
È il 2016 e il MoMA decide di mettere a disposizione in versione digitale oltre 66.000 opere, tra dipinti, sculture e installazioni digitalizzate. A oggi hanno raggiunto l’incredibile cifra di 80.000 presenze e si propongono come immagini ad alta risoluzione, distribuite su un ampio arco storico e culturale e indirizzate ad attirare e affascinare anche lo spettatore meno curioso. L’approccio è semplice e immediato e permette al visitatore interessato di accedere ai più grandi capolavori artistici con un semplice tocco, inserendo il nome dell’artista o dell’opera d’arte desiderata nell’apposita barra di ricerca del sito ufficiale del museo. Si crea così una sorta di Museo Immaginario, come lo definisce André Malraux nell’omonima opera del 1947, un repertorio infinitamente integrabile di opere d’arte, dove lo spettatore perde il contatto fisico con il manufatto e assume un’affinità intellettuale con esso. Un archivio di immagini potenzialmente integrabile all’infinito riunisce opere secolari accomunate dal desiderio dell’uomo di interrogarsi sul mondo.
Passa qualche mese e, accanto alle immagini ad alta risoluzione, il MoMA rende accessibile gratuitamente al grande pubblico gli archivi di oltre 3.500 mostre realizzate dall’apertura del museo, nel 1929, sino a oggi. Si tratta di un compendio di fotografie, cataloghi, inviti e comunicati stampa disponibili online grazie all’iniziativa finanziata dalla Leon Levy Foundation. Il codice del progetto è stato reso pubblico, così come quelli di ciascuna opera in collezione con il relativo autore. È così possibile effettuare delle ricerche a incrocio, in modo da identificare quante volte un autore ha esposto al museo e quante volte ha collaborato con un determinato curatore. L’iniziativa offre un’apertura poliedrica alla pittura, alla scultura, al design e all’architettura, con piani di sviluppo incentrati sulla digitalizzazione di film, video e una sezione dedicata alla performance art. Sono queste le parole con cui Fiona Romeo, direttrice del settore Digital Content and Strategy del MoMa, ha definito il progetto:
«Questo progetto è stato concepito come un archivio vivente, e non come una pubblicazione web una tantum, verrà aggiornato continuamente con le nuove mostre e i documenti verranno aggiunti man mano che vengono prodotti».
Si può quindi dire che il proposito iniziale sta seguendo ottimamente il suo corso dato che, dopo tre anni di distanza, le mostre presenti sul sito hanno raggiunto il numero di 4882.
Il museo, culla della tradizione, accoglie così la rivoluzione digitale e ne fa strumento di comunicazione e divulgazione della sua storia. Il risultato è la creazione di un museo parallelo, digitale, fuori dai confini spazio-temporali e dotato di un’attività programmata, razionalmente orientata e destinata a evolversi e a potenziarsi nel tempo. A quasi un secolo di distanza, si ricorda la prima mostra che ha sancito l’inizio dell’attività museale del MoMA. Era il 7 novembre 1929, quando il museo ha inaugurato la sua prima esposizione dedicata agli impressionisti in un’occasione indimenticabile per far conoscere al pubblico avanguardista newyorkese le voci europee di Van Gogh, Gauguin, Seurat e Cézanne. New York, e con lei l’istituzione museale che la rappresenta, non ha perso nel tempo la spinta rivoluzionaria e l’attenzione al progresso che l’ha contraddistinta quel giorno. Oggi è possibile scaricare dal sito ufficiale, in versione PDF, proprio il catalogo di quella mostra che sancì l’inizio di tutto. Ma il progetto del MoMa non resta una voce fuori dal coro, poiché altri musei internazionali hanno approfittato del successo del panorama digitale per raccontare il loro percorso artistico. Basti pensare alla Royal Trust di Londra o al Metropolitan Museum of Art di New York, quest’ultimo divulgatore di circa 400.000 immagini di ottima risoluzione.
Per quanto riguarda il MET, tutte le immagini sono sottoposte alla licenza Creative Commons Zero (CC0), all’interno del vasto dominio delle licenze Creative Commons (CC), promosse dall’omonima associazione non a scopo di lucro statunitense a partire dal 2002. Tali licenze permettono un libero uso dell’opera da parte del fruitore secondo diverse condizioni. Nel caso della CC0 si tratta di pubblico dominio, quindi l’immagine può essere scaricata, modificata e usata liberamente a scopo divulgativo poiché non è sottoposta a nessuna protezione legale. Si crea così un effetto domino nella distribuzione delle immagini, che tocca anche piattaforme come Wikimedia e Pinterest, attraverso le quali lo spettatore può entrare a contatto con celebri opere d’arte senza ricorrere al sito ufficiale.
In questo modo il museo non assume più la connotazione di altare elitario, di scrigno accessibile a pochi, ma diventa un ponte comunicativo con un pubblico sempre più digitalizzato. Un’ulteriore passo avanti nella politica open source è stato poi promosso dal Solomon R. Guggenheim di New York, che ha scelto di rendere accessibili online, in formato PDF ed EPUB, oltre 200 libri di critica e storia dell’arte. Si possono trovare anche tomi antichi e fuori catalogo, delle chicche per ricercatori accademici e studenti. La grandiosità di queste iniziative sta nel mettere a disposizione un’ampia gamma di materiale destinato alla ricerca, all’approfondimento e allo studio. L’impronta gratuita e la semplicissima reperibilità rendono l’offerta un vero tesoro per il fruitore interessato e ne permettono un ampio sfruttamento. Questa è la modalità attraverso cui la tradizione va incontro all’innovazione in un processo dinamico e in continuo divenire.