In passato vi erano due tipologie di viaggiatori. Da una parte quello povero, costretto ad errare di luogo in luogo alla costante ricerca di mezzi di sostentamento; dall’altra quello ricco, per il quale il viaggio rappresentava invece una prova di emancipazione ed autonomia, nonché la possibilità di ampliare la propria cultura. I Grand Tour del Settecento ne costituiscono forse l’esempio più lampante. C’è però un elemento che caratterizza entrambi questi due tipi di viaggiatori, così come tutti i viandanti antichi: la sofferenza.
Il viaggio prevede la sopportazione di patimenti, il superamento di ostacoli. Solo così, al momento del ritorno, ci si sente arricchiti, ci si sente altri rispetto alla partenza. Non è un caso che la radice del termine inglese per viaggio, Travel, sia la stessa di travaglio, Travail. Così come non è per nulla scontato che le peregrinazioni dei grandi poemi epici antichi siano state sempre imposte da volontà superiori a quelle dell’eroe, che era così costretto ad affrontare rischi e innumerevoli pericoli. Fu Poseidone, ad esempio, a costringere Ulisse ad errare dieci anni prima di poter tornare alla sua amata Itaca. Nell’epopea di Gilgamesh leggiamo addirittura: “Come mai vi è disperazione nel tuo cuore e il tuo viso è come quello di chi ha compiuto un lungo viaggio?”
Ancora oggi, spesso, ostacoli ed imprevisti contribuiscono ad aumentare l’autenticità dei nostri viaggi; autenticità che, però, sta progressivamente scomparendo. Oggigiorno, per merito dell’omologazione e della massificazione della nostra società, il viaggio perde quei valori di originalità e genuinità di cui era portatore. Chi viaggia tende a sfruttare sempre le stesse catene di alberghi, su cui può contare perché uguali in ogni parte del globo. Con una TV in ogni camera, ovviamente. Chi viaggia sa già cosa lo aspetta, perché per pianificare il suo soggiorno ha già controllato innumerevoli siti internet. Chi viaggia, infine, si serve di agenzie che trasformano la natura in un prodotto, derealizzandola. E’ così che, da viaggiatori, siamo passati ad essere turisti.
Come recuperare quindi l’autenticità smarrita, come tornare a viaggiare? Ovviamente è inutile perdersi in argomentazioni che spaziano tra l’utopistico e l’anacronistico; bisogna ammettere che la globalizzazione ha ormai definitivamente modificato il modo di viaggiare, nel bene e nel male. Si è cercata una soluzione, e negli ultimi anni si sono sviluppate sempre più nuove modalità di viaggio: il cosiddetto turismo sostenibile e responsabile. Sostenibile, perché collabora con le microeconomie locali invece che finanziare i grandi oligopoli del turismo; responsabile perché opera nella più stretta tutela della biodiversità e dell’ecosistema delle zone meta di viaggi. Le agenzie che optano per tale soluzione offrono così innumerevoli vantaggi. Non solo ai turisti, che ritrovano quella sensazione di genuinità di viaggio (ad esempio con la possibilità di pernottare presso abitazioni della popolazione autoctona), ma soprattutto per i popoli ospitanti.
Vi sono infatti alcuni punti fondamentali che il turismo responsabile è tenuto a rispettare per poter garantire la tutela delle popolazioni locali. Innanzitutto vengono introdotte – soprattutto nelle comunità rurali – nuove entrate economiche, complementari a quelle tradizionali. Inoltre vengono sempre strette relazioni economiche “orizzontali” con gli ospitanti, senza far prevalere la propria forza economica. Infine questo impulso al turismo funge spesso da propulsore per il miglioramento delle infrastrutture locali.
Vi è però un’unica soluzione per poter ammirare questo miracolo dell’ingegno umano: utilizzare aeroplani privati che sorvolano l’area, spesso compiendo anche veri e propri volteggi e piroette per impressionare i turisti. Purtroppo i gas di scarico emessi dai velivoli non si limitano ad elevare notevolmente il tasso di inquinamento, ma danneggiano gli stessi geroglifici. Per questa ragione le agenzie che optano per il turismo responsabile tendono a non proporre Nazca come meta per i viaggiatori.
E’ dunque possibile tornare a viaggiare, abbandonando le sicurezze del turismo per mettersi invece alla prova con esperienze che recuperano l’autenticità dei luoghi visitati. E’ possibile riscoprire la radice etimologica di quel travel che comporta qualche patimento e notevoli capacità di adattamento, ma che contribuisce in maniera essenziale alla crescita del viaggiatore. Il tutto nel totale rispetto degli equilibri naturali e sociali della regione ospitante.
- Eric J. Leed, La mente del viaggiatore, il Mulino, 1991
- Marc Augé, Disneyland e altri nonluoghi, Bollati Boringhieri, 1997