Tutti almeno una volta abbiamo ascoltato da parte di un nostro parente o conoscente più grande qualche divertente aneddoto sulla scuola del secolo scorso che, per molteplici aspetti, è assai differente dalla nostra.
Chi non ha mai sentito parlare del grembiulino con il colletto, della penna stilografica o delle punizioni a cui dovevano sottostare i “monelli”?
Le classi delle scorse generazioni erano molto numerose, dunque il maestro per farsi rispettare doveva sfoggiare un’indole severa e, se necessario con il consenso della famiglia, doveva avvalersi di metodi oggi non più tollerati come le famose bacchettate sulle dita o i periodi trascorsi con le mani incrociate dietro la nuca o il ginocchio.
Oltre ai castighi corporali erano previsti anche quelli psicologici come il celeberrimo cappello con la scritta “Asino” o il compito poco gradito dai bambini di scrivere molte volte la stessa frase sulla lavagna.
Il metodo di insegnare e di vivere la scuola è senz’altro cambiato nel secondo dopoguerra: prima l’insegnante rappresentava una figura potente e, il più delle volte, più severa dei genitori, capace di instaurare con la classe un rapporto gelido e di timore. Al giorno d’oggi, invece, lo studente sembra spesso trattare la medesima figura con troppa confidenza e sufficienza.
Certamente le punizioni corporali di un tempo oggi non possono più essere contemplate, anche se, purtroppo, sempre più spesso sentiamo parlare di insegnanti che maltrattano i propri studenti, soprattutto se non sono in grado di difendersi come nelle scuole materne ed elementari.
Ma se a volte a non potersi difendere fossero proprio gli insegnanti?
Il 28 Ottobre è accaduto un episodio spiacevole in cui ad accusare danno è stato proprio chi si trovava seduta dietro la cattedra.
Un alunno di 7 anni di una scuola elementare di Coverciano (Fi) ha dato una testata ad una maestra, la quale è finita in ospedale con una frattura del setto nasale e una prognosi di 6 giorni.
Il “monello” aveva, inoltre, stando alla versione degli insegnanti, anche dei precedenti, avendo minacciato già una volta con alcuni coltelli i propri compagni prima di essere fermato dai docenti.
Non si tratta, però, di un episodio isolato: un sondaggio condotto dal Centro Sindacale Indipendente dei Funzionari ha rivelato che il 90% degli insegnanti intervistati dichiara di aver dovuto affrontare nel corso della carriera qualche tipo di violenza nella loro scuola.
Le situazioni più frequenti sono insulti, vandalismo, violenza psicologica, minacce da parte degli studenti e dalle loro famiglie e molestie attraverso WhatsApp.
Ma la colpa non è da attribuirsi solo ai più piccoli, ma buona parte della responsabilità spetta ai genitori, i quali, negli ultimi anni di fronte ai problemi di condotta dei figli, si sono schierati contro gli insegnanti.
Ovviamente i genitori non sono tenuti a dover dare ragione sempre alla docente, se si pensa che questa non ce l’abbia, ma dovrebbero saper affrontare i problemi scolastici dei bambini da una prospettiva più matura e consapevole, non cercando per forza i colpevoli della situazione, ma solo buone soluzioni.
I figli vanno difesi finché hanno ragione ma quando sbagliano necessitano di essere rieducati. Molto spesso accade che i genitori dimostrino un atteggiamento di iper-protezione nei confronti dei figli: di fronte a note, richiami disciplinari e sanzioni, tendono ad additare la scuola come colpevole e “cattiva”.
Proteggere troppo il proprio figlio vuol dire danneggiarlo: per un ragazzo è importante compiere i propri errori ed assumersi le proprie responsabilità; difenderlo a priori a spada tratta contribuisce a dargli il cattivo esempio e a deresponsabilizzarlo.
Cosa porta un giovane ragazzo a comportarsi in modo maleducato nel contesto scolastico?
Di certo i figli non nascono maleducati poiché fortunatamente non esiste una componente genetica che trasmetta la disobbedienza e la maleducazione ma probabilmente fin da piccoli subiscono l’influenza dell’ambiente in cui sono cresciuti il quale può aver rafforzato il loro temperamento di fondo.
Il genitore deve essere la guida del proprio figlio durante tutta la sua vita, dandogli il buon esempio e controllando il suo atteggiamento e il suo modo di relazionarsi con il mondo che lo circonda.
Ma se chi deve far da guida non è in grado di dire di “no” e l’unico insegnamento che è capace di impartire al proprio figlio è “che ci pensa mamma“, è normale che quest’ultimo si comporti male. D’altronde anche i genitori sono evidentemente vittime di un fallimento educativo.