La comunicazione digitale sta investendo, come un turbine, la vita di ogni uomo. Coscientemente o non, i rapporti tra gli individui sono mediati dal mezzo tecnologico e dal digitale. Misurarsi con questa nuova “potenza energetica” è fondamentale per trarne il massimo dei benefici ed evitare la degenerazione del rapporto, il rischio della dipendenza dalla macchina. Tuttavia, come per ogni evento quotidiano, è complesso formulare un giudizio, essendo protagonisti della scena. Non è semplice, infatti, acquisire coscienza del cambiamento sociale che spinge alla modifica dei rapporti personali e, soprattutto, è complesso mantenere il controllo dei propri sentimenti, immersi nell’imponente rivoluzione digitale. Solo il distanziamento, l’osservazione della vita da spettatore, potrebbe incrementare la consapevolezza. Così il teatro diventa un mezzo per assolvere quest’impresa- si potrebbe dire- sociale.
A questo proposito, è andato in scena al Franco Parenti, Le ho mai raccontato del vento del nord, uno spettacolo tratto dall’omonimo romanzo epistolare di Daniel Glattauer. L’opera racconta di una storia d’amore ai tempi del digitale, ambientata nella quotidianità di due personaggi protagonisti assolutamente verosimili. Tuttavia, l’amore tra i due è virtuale, prosegue attraverso uno scambio continuo, quasi ossessivo, di e-mail. Tra i temi, oltre all’amore, una forte attenzione al contemporaneo e alla vulnerabilità dell’umano.
Lo spettacolo, regia di Paolo Valerio, osserva fedelmente la trama e i temi del romanzo. I due personaggi sul palcoscenico sono estremamente verosimili, due comuni cittadini del tempo corrente. Emma è una donna divorziata, con una storia non piacevole alle spalle, alla ricerca dell’amore mancante; Leo è un professore di psicolinguistica, studioso del sentimento nella comunicazione digitale. Dall’inizio dello spettacolo (Emma riceve una mail sbagliata da un indirizzo sconosciuto) è intuibile la nascita di una relazione d’amore. Scatta una scintilla, Emma si sente attratta da quell’ignoto che comprende così bene le sue parole filtrate da uno schermo. L’amore virtuale, sempre più intenso, non riesce a trasformarsi in una relazione fisica. L’incontro tanto bramato non avverrà mai: la paura e l’incertezza prendono il sopravvento.
Il crollo dell’aspettativa è un pericolo incombente nella mente dei protagonisti, soprattutto di Emma. Ciò che costituisce attrazione e scatena l’interesse (l’immagine dell’altro) è anche ciò che impedisce l’evolversi del rapporto nel reale. L’idealizzazione del sentimento è un evidente rischio del digitale. Il vincolo dello schermo (l’impossibilità di essere a contatto con l’interlocutore) se, da un lato, libera la fantasia, dall’altro costruisce una falsa immagine, inevitabilmente, destinata a infrangersi nello scontro con la realtà. Nello spettacolo i pregi e i rischi apportati dalle nuove tecnologie sono presentati in modo paritario; lo spettatore è chiamato in causa per analizzare e riflettere. Grazie al computer, infatti, i protagonisti si sono incontrati e innamorati. Tuttavia, il loro amore virtuale non può consumarsi nella quotidianità della realtà: la trascende, ne è lontano.
La scenografia dello spettacolo riproduce efficacemente l’idea del digitale. Sullo sfondo è installato uno schermo su cui, di volta in volta, compaiono immagini evocanti situazioni e stati d’animo dei protagonisti. Inoltre, alcune e-mail scambiate tra i due sono proiettate sullo sfondo (altre vengono lette dagli attori) e si compongono sotto gli occhi dello spettatore. Per il resto, lo spettacolo è ambientato in uno spazio chiuso: ci troviamo nelle case dei protagonisti, evocate in modo assolutamente realistico. La scena è simmetricamente divisa in due parti: a sinistra lei, a destra lui. Inoltre, anche i colori degli oggetti (iconograficamente opposti) contribuiscono all’evocazione della separazione fisica dei personaggi. La scelta registica di utilizzo del microfono rimanda a una voce elettronica. Sembra, a tratti, che la voce sia proferita dal computer.
Il finale, molto evocativo, è una domanda aperta. Sullo schermo una e-mail si dissolve e le lettere volano, trascinate da quel, più volte evocato, “vento del nord”. La virtualità del rapporto si infrange e i due personaggi ricadono nella solitudine delle loro condizioni. Proprio il vento del nord, simbolo della massima intimità tra i due, dissolve l’amore, scardina quelle parole. Una battuta afferma:
Scrivere è come baciare, solo senza labbra. Scrivere è baciare con la mente.
Se le parole erano baci, se le e-mail erano vincolo di un amore autentico, allora il vento del nord, che scompone le parole, è la realtà che incombe sulla fantasia. Qualunque idealizzazione è impedita, le menti non possono più scambiare amore, i baci sono proibiti.