I giovani oggi sono soliti utilizzare esclamazioni come “che ansia!” oppure “che depressione“ in molti casi come semplice intercalare, altre volte, purtroppo, come reale espressione di malessere emotivo. Secondo un sondaggio internazionale condotto da Sodexo, azienda multinazionale operante nel settore dei servizi, sarebbero circa 800 mila i giovani depressi in Italia, ovvero il 64% della popolazione giovanile. Per giovani intendiamo i ragazzi di età compresa tra i 20 e i 30 anni, ovvero coloro che hanno già superato l’adolescenza e si accingono a diventare adulti; forse il famigerato “mondo dei grandi” non è così infelice, dal momento che le persone presenti in questa fascia d’età sono meno soggetti a contrarre tale malattia.
Ma che cos’è la depressione e perché miete sempre più vittime al giorno d’oggi? Da un punto di vista meramente scientifico si configura come una patologia psichiatrica caratterizzata dalla perdita di interesse nelle attività normalmente considerate divertenti; essa coinvolge spesso la sfera affettiva e cognitiva della persona, agendo negativamente sulla sua vita familiare, lavorativa, sullo studio e sulle abitudini riguardanti il sonno e l’alimentazione.
Sempre più ragazzi manifestano disturbi della personalità, ansia, calo dell’attenzione, svogliatezza e manie ossessive, così come dimostrano la tendenza crescente di pazienti giovani all’interno degli ospedali psichiatrici e l’aumento del numero di suicidi di ragazzi che, non riuscendo a placare il loro dolore interiore, hanno reputato che l’unico anestetico naturale possibile fosse la morte.
Non meno preoccupanti sono le previsioni per il futuro: secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità, la percentuale dei disturbi mentali nei giovani è destinata ad aumentare fino al 20% nel 2020 e si presume che nel 2030 sarà la patologia cronica più diffusa tra i giovanissimi.
A fronte di questi dati una domanda è più che legittima: che cosa porta i giovani a sentirsi così frustrati? Prima di rispondere a questo interrogativo, è necessario sfatare il pregiudizio riguardante l’eziologia della malattia: vi è chi sostiene che la causa di questo male di vivere –per dirlo alla Montale- sia sempre ambientale e chi, invece, propende per quella “organica”. In realtà si tratta, solitamente, di disturbi scaturiti da più fattori e in cui hanno particolare peso sia le vulnerabilità ambientali che quelle genetiche.
Non sorprende che le nuove generazioni siano molto più depresse rispetto alle precedenti generazioni, che potevano vantare una società moralmente e sentimentalmente più evoluta rispetto alla nostra, forse più piatta e superficiale, in cui tutti i valori sono sacrificati al solo scopo di apparire e mai a quello di essere.
Nascondersi dietro la propria maschera sembrerebbe l’unico modo per socializzare e per ricevere l’approvazione altrui, ma una volta tolta questa, l’adolescente si sente vuoto, convinto di essere incapace di trovare qualcuno che possa apprezzarlo per la sua vera essenza.
La vita di tutti i giorni consiste, insomma, in un black mirror, come la serie proposta da Netflix, ovvero uno schermo nero, privo di emozioni reali.
Una delle principali cause della depressione sembrerebbe proprio collegata a uno schermo che conosciamo molto bene: secondo uno studio sperimentale su Facebook, Instagram e Snapchat, condotto dall’Università della Pennsylvania, riguardante la relazione tra tempo trascorso sui social e benessere personale, l’uso dei social network aumenterebbe il nostro malessere interiore e il nostro desiderio di isolarci.
Tale ricerca ha preso in esame 143 studenti universitari e il tempo da loro trascorso sulle piattaforme sociali di cui sopra. Ai partecipanti è stato chiesto di rispondere a domande riguardanti il proprio benessere; in seguito sono stati formati due gruppi: uno di controllo e uno incaricato di ridurre per tre settimane l’uso dei social a 10 minuti.
Il risultato di questo studio è stato inaspettato: usare i social meno del solito ha comportato una diminuzione significativa di depressione e amarezza.
Quindi, no, la situazione economica, le guerre e il terrorismo non c’entrano nulla con la depressione giovanile: la causa è da ricercarsi, piuttosto, nella società odierna, vittima delle apparenze e dell’ipocrisia.
“Tu chiamale se vuoi emozioni”, diceva Battisti; il vero problema nel 2018 è riuscire ancora a provarne.