Da tempo nella comunità scientifica ci si interroga sul reale funzionamento di un tipo di motore che potrebbe rivoluzionare i viaggi spaziali: L’EmDrive (contrazione di Electromagnetic propulsor Drive).
Questo motore nel caso venisse realizzato potrebbe portarci su Marte in appena 70 giorni, rispetto ai 6 mesi previsti da un motore a propulsione normale. E’ stato proposto per la prima volta ben vent’anni fa da uno scienziato britannico, Roger Shawyer. Rispetto ad un motore tradizionale, il presunto funzionamento dell’EmDrive si baserebbe su una propulsione elettromagnetica: in parole semplici, al posto di utilizzare l’energia di un carburante, la spinta per muovere un mezzo si otterrebbe grazie al rimbalzo di particelle come fotoni sotto forma di microonde in una precisa camera a forma di cono. L’energia dei fotoni verrebbe ricavata dal Sole o da qualsiasi altra stella, rendendo l’EmDrive uno dei motori ideali per i viaggi spaziali.
Il motivo per cui il progetto è permeato da molto scetticismo, è che apparentemente questo tipo di motore violerebbe uno dei principi fondamentali della fisica, in particolare il terzo principio della dinamica, che recita: ad ogni azione, corrisponde una reazione uguale e contraria. Questo si traduce nel fatto che, mentre nei motori a razzo tradizionali il propellente espulso dallo scarico crea una una spinta in avanti del mezzo, l’EmDrive produrrebbe la spinta in avanti sfruttando l’energia elettromagnetica, senza l’espulsione di nessun materiale.
Per fare una semplice analogia e capire l’entità di una eventuale scoperta di questo tipo, sarebbe come se riuscissimo a muoverci in avanti solo con la spinta della nostra schiena, o spostassimo un veicolo unicamente dando una spinta iniziale dall’interno dell’abitacolo. Riuscire ad avere una spinta di questo tipo significherebbe non aver più bisogno di carburante e, di conseguenza, avere meno peso e una velocità superiore di crociera.
Dopo una serie di test e tentativi, il progetto era stato sottoposto alla peer-review – una procedura di valutazione da parte di specialisti del settore per verificare le potenzialità effettive di un progetto – che, nonostante lo scetticismo, aveva dato risultati positivi. L’EmDrive aveva quindi passa i primi test ufficiali, insieme a numerose prove effettuate della Nasa. Adesso però un nuovo studio dell’Università Tecnica di Dresda spiazza quella parte della comunità scientifica che stava cominciando a sognare la rivoluzione: l’istituto tedesco ha costruito infatti un prototipo del motore e lo ha testato. I risultati ottenuti sono stati unicamente delle leggere spinte in avanti: il problema sta nel fatto che questi movimenti siano stati misurati anche quando non avrebbero dovuto esserci.
A questo punto il team di scienziati ha spiegato la registrazione della forza non come opera dell’EmDrive in sé, ma come frutto dell’interazione tra campo magnetico terrestre e i cavi di alimentazione della stanza.
Ragionando sui risultati che abbiamo al momento, finché un motore EmDrive non verrà costruito e testato nello spazio concretamente, i dubbi non verranno risolti. Se, al di là della fisica arcana che governa il meccanismo, si riuscirà a costruire un motore di questo tipo, l’umanità avrà fatto un grande balzo in avanti verso il suo destino naturale – a patto di non estinguerci prima: la conquista dello spazio.