Dopo un interminabile e inviso esilio, torna a casa, a Roma, il poeta latino Ovidio. Il merito di averlo ricongiunto ai suoi natali è stato della mostra Ovidio. Amore, miti e altre storie, allestita presso le Scuderie del Quirinale di Roma dal 17 ottobre al 20 gennaio. Un percorso espositivo che intreccia i fili delle parole con quelli delle immagini, tessendo una trama che si estende armoniosa e variopinta dal mondo antico fino ai nostri giorni.
Nato a Sulmona nel 43 a. C., Ovidio scomparve nel 18 d. C. a Tomi (l’attuale Costanza), perché condannato da Augusto, per motivi rimasti misteriosi, a una relegatio che l’autore non riuscì mai ad accettare. Si può dire che Ovidio sia il poeta latino che ha goduto, e gode tuttora, di maggiore fortuna letteraria. Colui che ha sfidato e vinto le intemperie di ben duemila anni. Con il suo sorriso beffardo, i toni dissacranti e l’arte mitopoietica, il poeta è riuscito a conquistare ogni epoca, ispirando un grandissimo numero di autori e artisti.
Immortali le sue Metamorfosi, libro in esametri che narra una panoplia di miti – più di duecento – di trasformazioni, a partire dagli antichi miti greci, raccontando di Caos e l’origine del mondo, fino all’epoca a lui coeva, arrivando a cantare l’apoteosi dell’imperatore Augusto. La fortuna di questi versi è immediata; basta sporgersi più in là di pochi anni, per trovare il romanzo Le Metamorfosi, o l’asino d’oro di Apuleio, riconducibile al II d. C. Un libro dall’intreccio intricato e costruito su più livelli, la cui vicenda principale è l’infausta metamorfosi del protagonista Lucio in un asino e le innumerevoli conseguenti peripezie.
Alle Metamorfosi – libro più illustrato nella cultura occidentale dopo la Bibbia – siamo debitori di svariati miti sopravvissuti e celebrati fino a noi, come – per citarne solo alcuni – quelli di Eco e Narciso, Arianna, Giove e Leda, Dedalo e Icaro. Storie con protagonisti dèi, ninfe e giovani, accomunati spesso dallo stesso triste epilogo, come quell’amore sventurato tra Orfeo e Euridice, cantato qualche anno prima da Virgilio nelle Georgiche e ripreso nel 1904 da Rainer Maria Rilke nella lirica Orfeo. Euridice. Hermes delle Nuove Poesie.
La fortuna ovidiana sembra non trovare arresto, affermandosi anche nella scena moderna, con la pubblicazione di diversi romanzi che non fanno mistero di ispirarsi all’autore latino. Nel 1960 viene pubblicato Dio è nato in esilio. Diario di Ovidio a Tomi, romanzo dello scrittore rumeno Vintila Horia, il quale cede la voce direttamente al poeta, che, in un’intimistica effemeride, racconta gli anni passati a Tomi – modello, quello del diario, ripreso successivamente anche nel 1997 da Marin Mincu con Il diario di Ovidio.
Il topos dell’esilio diviene presto centrale nella fortuna ovidiana del XX secolo. Nel romanzo Sulle rive del Mar Nero (1922) di Luca Desiato, si racconta l’incontro e il gemellaggio tra il protagonista Saverio, scrittore studioso di Ovidio, e il poeta stesso. Personaggi uniti, quasi per predestinazione, dalle tristi vicissitudini che gli riserva la vita. Nel 1988 David Malouf pubblica L’ultima metamorfosi. Un romanzo dai tanti significati che porta a galla il senso di estraneità del poeta romano a Tomi. Relegato ai margini, in una terra in cui non si parla né greco né latino, il poeta, che aveva fatto della parola la sua arma e la sua ragione, è costretto all’annichilimento: viene ammutolito; lui, il poeta dalla lingua sempre vivace e arguta. Solo grazie all’incontro – racconta Malouf – con un bambino selvaggio, Ovidio riesce infine a superare i limiti del linguaggio e abbandonarsi all’ultima metamorfosi possibile: la morte.
In questa congerie post-ovidiana, degno di nota è anche il breve racconto di Tabucchi, Sogno di Publio Ovidio Nasone, poeta e cortigiano, raccolto nel prezioso e particolarissimo libricino Sogni di sogni (Sellerio, 1992), nel quale l’autore immagina «i sogni degli artisti che ha amato». Tra questi, compare anche Ovidio, che l’autore fa trasformare in una grande farfalla, così per poter finalmente volare da Tomi a Roma e tessere le lodi di Augusto, in vista del tanto sperato perdono.
A convalidare la natura imperitura dei versi ovidiani anche in epoca contemporanea, è senza dubbio la coraggiosa installazione site-specif Maxima Propositio dell’artista Joseph Kosuth, classe 1945, che introduce alla mostra ospitata alle Scuderie del Quirinale. Dalla prima sala emerge il fine ultimo dell’esposizione: far convivere il passato con il contemporaneo, in un connubio atemporale, del tutto simile a quello che fa da sfondo a tutti i miti ovidiani.
Ai preziosi incunabuli e codici miniati medievali esposti sottovetro, che riportano minuziosamente le opere del poeta latino, fanno da contraltare le frasi in neon colorati sulle pareti. Joseph Kosuth ha preso in prestito alcuni versi dalle Metamorfosi, accostando la traduzione in inglese. In questo modo, l’artista si immerge nel valore più evocativo della parola, che si esprime in tutta la sua concretezza, quasi come negli antichi carmina figurata, quei componimenti poetici realizzati non solo per essere letti ma anche guardati, dove le parole diventano pennelli, creano immagini, forma e sostanza di opere d’arte. Ed è proprio quello che si assiste di fronte all’installazione di Kosuth: parole di migliaia di anni fa si trasformano – come in una degna metamorfosi ovidiana – in opere d’arte contemporanee, mostrando tutto il valore ecfrastico dell’arte poetica ovidiana. Sono versi concisi, epigrammatici, perfetti per competere con i migliori slogan di Instagram.
«Venus ventus temerarus
Venus favors the bold.»«Omnis amans militat
Every lover makes war.»
Si può dire così compiuto l’ambizioso desiderio di Ovidio. Grazie alla sua arte e alle sue opere, il poeta latino non solo è riuscito a tornare nell’amata patria, come un Ulisse redivivo, ma si è affermato come demiurgo in grado di dominare i tempi dell’eternità.
«Quaque patet domitis Romana potentia terris,
ore legar populi, perque omnia saecula fama,
si quid habent veri vatum prefagia, vivam.»«E ovunque si estende, sulle terre domate, la potenza Romana,
le labbra del popolo mi leggeranno, e per tutti i secoli grazie alla fama,
se qualcosa di vero c’è nelle predizioni dei poeti, io vivrò.»