Sarà la sua estetica un po’ vintage, il famoso fruscio della puntina sul disco o la sensazione di avere in mano qualcosa di sacro, il vinile, si sa, conserva tuttora un suo fascino che sembra non voler tramontare mai. Tornato anzi alla ribalta, il vinile è un oggetto che ben si presta alla passione del collezionismo. Ma è solo musica quella che collezioniamo?
Entrambi potenti mezzi espressivi, riflesso dei cambiamenti della società, musica e immagine hanno sempre percorso cammini in qualche modo paralleli e spesse volte addirittura tangenti, incontrandosi e dando vita a opere d’arte alla portata di tutti: le copertine degli album.
La collaborazione tra artisti e musicisti è un fenomeno che prende piede negli anni ’60, con la diffusione della pop art e la volontà, da parte degli artisti, di raggiungere un pubblico più ampio, uscendo da quella cerchia intellettuale in cui spesso erano rilegati per mescolarsi a forme di espressione inedite, favorite da nuove fonti di ispirazione e commistioni tra generi.
Andy Warhol – The Velvet Undreground & Nico
Gli esempi sono moltissimi. Partiamo da Andy Warhol, con l’ormai iconica banana del primo disco dei Velvet Undeground & Nico, pubblicato nel 1967. Warhol, esponente della pop art nonché produttore dell’album, sceglie di mettere in copertina una banana, oggetto comune che si presta a facili e maliziose interpretazioni. Interpretazioni che è l’artista stesso a suggerire, inserendo in alcune edizioni dell’album l’invito a “sbucciarla lentamente e osservare” [peel slowly and see]: in alcune copie era infatti possibile rimuovere la buccia adesiva della banana per scoprire al suo interno una banana rosa shocking.
Irriverente e sfrontata, la copertina rifletteva bene il carattere della band e dei suoi componenti, anche se nell’immediato l’album non ha raggiunto il successo sperato. Il produttore e musicista Brian Eno disse a tal proposito:
Soltanto cento persone acquistarono il primo disco dei Velvet Underground, ma ciascuno di quei cento oggi è o un critico musicale o un musicista rock.
Oggi l’album è al 13° posto nella classifica dei 500 album migliori della storia secondo Rolling Stone e la famosa banana è stata nel 2012 oggetto di scontri legali tra la band e la Andy Warhol Foundation for the Visual Arts, che avrebbe cercato di cedere a Apple i diritti di riproduzione dell’immagine, da utilizzare su cover di smartphone e tablet.
Robert Rauschenberg – Speaking in tongues
Altro artista vicino alla pop art a realizzare una copertina è stato Robert Rauschenberg, che nel 1983 ha realizzato la copertina e l’intero packaging dell’album Speaking in tongues dei Talking Heads.
Rauschenberg si era formato al Black Mountain Collage, scuola di arte nata negli anni ’30, che avrà un impatto fondamentale sull’avanguardia americana. E’ proprio al Black Mountain Collage che egli ha un primo approccio collaborativo con la musica, grazie all’amicizia con il compositore John Cage. E’ infatti ai White Paintings di Rauschenberg che si ispirò la celebre 4′ 33” del compositore, registrazione di 4 minuti e 33 secondi di silenzio.
Ma torniamo al 1983. Rauschenberg crea una copertina riprendendo un progetto realizzato nel 1967, intitolato Revolver. Si trattava di una scultura composta da 5 lastre di plexiglas stampate e sovrapposte tra loro sopra a un supporto metallico. Lo spettatore grazie a un pulsante poteva attivare un motore alla base del supporto che, facendo ruotare i 5 dischi, gli permetteva di osservare le diverse forme della composizione.
Utilizzando lo stesso metodo dei collage e delle sovrapposizioni, anche per Speaking in tongues Rauschenberg lavora sui tre colori primari – fucsia, ciano e giallo – per creare una custodia a più strati, ciascuno caratterizzato da collage di immagini nelle tonalità dei tre colori. L’album era strutturato in modo tale che fosse impossibile vedere contemporaneamente tutte le immagini del collage nelle tre versioni. Il complesso processo alla base rendeva la stampa un’operazione piuttosto complicata, tanto che Jerry Harrison, chitarrista e pianista della band, impiegò sei mesi a trovare qualcuno in grado di realizzare il packaging dell’album, che fu stampato in 50.000 copie, mentre le restanti furono disegnate dallo stesso David Byrne.
L’opera fece vincere a Rauschenberg un Grammy Award per il design dell’album.