“Roma Videoclip” dal sapore anni Settanta: i KEEMOSABE

Roma Videoclip è il più importante festival nazionale che celebra la forma artistica del video musicale, identificato come il connubio perfetto tra musica e cinema. La XVI edizione ha visto premiato per il Premio Direzione Rivelazione l’inedito videoclip musicale Out of the city! che vede alla regia il giovane aronese Rodolfo Gusmeroli e come band protagonista i KEEMOSABE.

I Keemosabe sono una band rock-pop composta da Alberto Curtis (chitarra e voce), Sebastiano Vecchio (batteria), Andrea Guarinoni (tastiere), Pino Muscatelli (basso). La loro collaborazione con Rodolfo, come hanno spiegato anche all’interno dell’intervista, è proprio volta alla valorizzazione del legame tra musica e cinema, quindi si muove nella stessa direzione del festival. L’intervista proposta, inoltre, tenta di mettere in luce le grandi capacità e il successo di questi ragazzi nonostante la loro giovanissima età.

(Gli intervistati sono Alberto e Sebastiano).

Abbiamo visto che Roma Videoclip è un premio nato apposta per valorizzare il rapporto tra la musica e il cinema. Il fulcro del concorso è proprio il videoclip in quanto microfilm. A questo proposito, la partecipazione al premio è legata a un interesse particolare per l’argomento? Oppure è nata un po’ “per caso”?

Per quanto riguarda noi come band, il video naturalmente non è nato con il fine di essere portato al festival, ma è nato più dalla necessità di avere il videoclip legato a un singolo. Però il discorso cinematografico collegato alla musica è un valore chiave per la nostra band, dato che noi tendiamo sempre a legarci anche ad altre forme d’arte. In particolare ci siamo legati alla figura di Rodolfo, con cui collaboriamo per diversi motivi e da diverso tempo, per quanto riguarda la regia, i cortometraggi e tutto l’ambito cinematografico in generale.

A tal proposito, ritenete corretto parlare di un connubio naturale tra musica e cinema? E se sì, che tipo di relazione pensate che esista?

Secondo noi sì, questo connubio è sempre esistito. Al giorno d’oggi, poi, rompere le barriere tra i vari mezzi multimediali è ancora più necessario perché l’esperienza artistica sta diventando sempre più totalizzante. Un artista deve puntare sempre di più a inglobare il maggior numero possibile di mezzi per comunicare con le persone. Questo perché il modo in cui recepiamo l’arte al giorno d’oggi è diverso da come era prima: ora avviene tutto attraverso a un telefono, guardando video su Instagram, che deve subito colpirti. Adesso, dato che il pubblico sembra avere sempre meno tempo e meno voglia di concentrarsi sul lavoro artistico, esso deve essere già pronto a 360° su tutto (dalla grafica, alla musica, al video), ed è per questo motivo che l’arte sta diventando ancora di più un tutt’uno. E, in particolar modo, l’attenzione del pubblico è rivolta maggiormente al il video musicale, proprio per questi motivi.

Parliamo, adesso, di voi come “squadra”. A livello strettamente individuale, perché voi, come band, avete accettato la sfida di Rodolfo? Cosa avete visto in lui che potesse valorizzare il vostro lavoro?

E’ una collaborazione che è nata principalmente per il fatto di vivere nella stessa zona, che è una realtà piccola. Ciò fa si che ci si conosca bene o male tutti e che non ci siano tante persone che lavorano professionalmente nel campo dell’arte. In più, ci siamo trovati un po’ per le nostre folli idee (perché, ad esempio, anche il rivedere tutto il discorso musicale e registico del video in chiave anni Settanta è un’idea pazza). Ci ritroviamo sulle follie, insomma. Rudy è inoltre una di quelle persone con la quale c’è un’intesa immediata. In più, è importante che lui abbia creduto nella nostra musica e noi nella sua arte indipendentemente dal premio. La collaborazione è nata ancora prima di fare successo, ed è iniziata prima ancora che noi registrassimo i nostri pezzi e prima ancora che lui andasse a studiare regia.

Come vi siete approcciati alle idee di Rodolfo che ha dovuto mettere inevitabilmente mano ad un vostro lavoro già compiuto? Siete stati esigenti riguardo alla messa in scena?

Come per tutto quello che facciamo con Rodolfo, c’è stata una collaborazione completa. Ci incontriamo e ci viene fuori tutto insieme. C’è molta fiducia da entrambe le parti. La storia del videoclip, poi, si è evoluta nel corso del tempo e praticamente del testo e del concept iniziale della canzone abbiamo tenuto solo il titolo.

Si può percepire da Out of the city, sia a livello cinematografico che a livello musicale, un’influenza anni Settanta. Se è corretto, a cosa è dovuta questa scelta?

Stiamo per pubblicare un primo EP: la sua idea è quella di dare una panoramica generale di ciò che siamo stati negli ultimi due anni. Abbiamo quindi questo pezzo, che ha un chiaro sound anni Settanta, ma abbiamo anche un altro pezzo con sintetizzatori molto più anni Ottanta. Abbiamo un pezzo più rock acustico, molto anni Novanta, e abbiamo un remix di uno dei tre brani che si ispira molto al suono dell’età più contemporanea. Non ci siamo voluti dedicare apposta a ogni decennio, ma è venuta quasi naturalmente la cosa: abbiamo ispirazioni veramente ampissime. Chiaramente, comunque, anche queste influenze sono parziali: abbiamo l’idea di riportare lo spirito di quegli anni ma in chiave moderna, così da renderlo accessibile a persone che non sono di quell’epoca (come siamo anche noi, del resto).

Nel panorama contemporaneo affermarsi a livello artistico è molto difficile. Che tipo di formazione avete intrapreso e/o state intraprendendo? Avete dei modelli di riferimento?

Dire che la nostra formazione è finita è un parolone: c’è sempre la voglia di imparare, di andare avanti. C’è, poi, l’evoluzione, e per quanto ci riguarda, la ricerca stilistica non finisce mai. Innanzitutto, dobbiamo distinguere i percorsi individuali da quello collettivo, come band. Ad esempio, il nostro tastierista si è formato negli studi di Abbey Road. Come Keemosabe, invece, abbiamo avuto una formazione abbastanza internazionale: siamo stati a New York a fare il college e poi a Londra a fare il master sempre nell’ambito musicale, nella performance. Da un lato eminentemente pratico, poi, la formazione artistica è avvenuta con un anno di concerti a Londra e un altro anno di concerti qui in Italia. Sicuramente quello che abbiamo preso tutti noi dei Keemosabe è il respiro internazionale, quindi le diverse influenze stilistiche che derivano dai diversi luoghi.

Esonerando da Out of the city!, che tipo di influenze musicali avete e che generi ascoltate? In particolare, c’è qualcuno nel panorama contemporaneo che vi colpisce?

La nostra idea è sempre stata quella di prendere materiale dalla musica più “complicata” per portarla a un livello più accessibile, quindi nel pop, nel rock. Quello che facciamo si potrebbe definire come un rock-pop moderno. A livello di ricerca identitaria, l’anno a Londra è stato fondamentale: tutti abbiamo spostato totalmente i nostri gusti musicali sulle band inglesi, ed è quello a cui tuttora maggiormente ci ispiriamo. Come esempi, citiamo Fools, Arctic Monkeys, Nothing but Thieves, anche se ci interessiamo anche di tante nuove band che provengono da realtà non prettamente inglesi o americane: i Parcels, ad esempio, che sono una band australiana. Sostanzialmente, puntiamo un po’ di più sul mondo anglofono. D’altra parte non possiamo rinnegare le nostre origini (che sono della provincia italiana). In pratica la nostra musica è un po’ il risultato di tutta una mescolanza di cose veramente troppo ampie da definire.

Che progetti avete per il futuro?

Abbiamo realizzato la colonna sonora del cortometraggio di Rudy. E’ stato uno scambio di favori: lui ha fatto il video per noi e noi abbiamo prodotto la colonna sonora per lui. Anche qui, però, non è stata una cosa ben pianificata: semplicemente, abbiamo passato una giornata in studio insieme e siamo usciti con la colonna sonora in mano. Come altri progetti, sicuramente quest’anno suoneremo un po’ in giro per l’Europa. Poi pubblicheremo l’EP a febbraio o a marzo e, chiaramente, stiamo tentando di fare anche il passo superiore, che per un musicista è sicuramente trovare un contratto discografico per poi poter mettere fuori il primo album.

LINK ALL’INTERVISTA DEL REGISTA

 

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