Pochi oggi ricordano il nome di Margherita Sarfatti, che eppure ebbe un ruolo fondamentale nella storia dell’arte italiana della prima metà del Novecento. Fu un personaggio quanto mai ambiguo, contraddittorio e spregiudicato, e al tempo stesso affascinante, brillante e anticonformista. Il suo iniziale appoggio al fascismo, e soprattutto alla figura di Mussolini, di cui fu anche l’amante, hanno segnato la sua damnatio memoriae.
È difficile comprendere come una donna colta, raffinata e cosmopolita, quale Margherita era, abbia sostenuto fin dal principio un uomo maschilista e violento, quale era invece il duce. Ad accomunarli fu la sete di potere e la smania di primeggiare, che portarono entrambi alla rovina.
La tragedia di Margherita Sarfatti è di un’ironia grottesca: l’ideologia che contribuì a creare e l’uomo che amò e sostenne furono infatti la causa della distruzione del suo mondo letterato, internazionale e aperto, oltre che della condanna di sua sorella Nella, che restò vittima nei campi di sterminio tedeschi.
Nata nel privilegio, cresciuta nella ricca famiglia ebrea dei Grassini, tra le mura di palazzo Bembo affacciato sul Canal Grande a Venezia, la Sarfatti ricevette un’istruzione insolita per una donna della fine dell’Ottocento. Aveva infatti studiato letteratura, arte, filosofia e padroneggiava con sicurezza quattro lingue straniere in un’Italia in cui, come ha fatto notare la storica dell’arte Rachele Ferrario, la maggior parte della popolazione non parlava nemmeno l’italiano. Fin dalla gioventù poté godere di un ambiente colto e illuminato, quello dei genitori a Venezia, che avrebbe poi riprodotto nel salotto della sua casa milanese in cui andò ad abitare con il marito, Cesare Sarfatti. L’amico d’infanzia di Margherita fu Guglielmo Marconi, il suo protettore lo scrittore Antonio Fogazzaro e Papa Pio X l’amico di famiglia. Il suo salotto fu regolarmente frequentato da politici socialisti, tra cui la coppia Turati e Anna Kuliscioff, artisti dal calibro di Medardo Rosso, Boccioni, Sironi, Funi, Carrà, Arturo Martini e da letterati come il futurista Marinetti, d’Annunzio e la scrittrice Ada Negri. A lei non va solo il merito di aver contribuito alla formazione del cosiddetto gruppo del Novecento, ma anche di una rinnovata classicità delle forme nell’arte, che richiamano le gloriose epoche italiane della romanità e del Rinascimento.
Fu critica d’arte e anche giornalista militante; durante la Prima guerra mondiale si recò a Parigi per studiare la reazione delle donne francesi al conflitto e realizzò il libro reportageLa milizia femminista in Francia. Il femminismo rimase sempre un tema centrale della sua vita: rivendicò un ruolo di primo piano nel mondo culturale italiano della prima metà del XX secolo, in cui non era dato solitamente spazio al sesso femminile. Pretese una libertà sessuale, religiosa e intellettuale non comune nelle donne della sua epoca. In questo senso fu una figura fortemente anticonformista in un’Italia che, al di fuori del suo salotto alto borghese, era ancora arretrata e conservatrice.
La Sarfatti cercò di osteggiare in ogni modo l’avvicinamento di Mussolini alla Germania di Hitler, così come si era fortemente opposta alla guerra in Etiopia, ma in entrambi i casi la sua influenza sul duce non fu sufficiente e a lei non rimase che la fuga nel 1938. Nonostante gli agi di cui continuò a godere, la sua vita da esule non fu facile in quanto fu comprensibilmente osteggiata tra i profughi ebrei prima a Parigi e poi in America. Margherita cercò in seguito di prendere le distanze dal fascismo, riaffermando le sue origini di ebrea e pubblicando subito dopo la guerra il libro in inglese My Fault, una confessione degli errori da lei commessi. Nonostante il pentimento, le sue origini, la sua opposizione alla colonizzazione e alle leggi razziali, il nome della Sarfatti è rimasto indelebilmente legato a quello del fascismo. Il suo errore fu indubbiamente quello di innamorarsi di Mussolini e, il suo peccato, la sete di potere che aveva inseguito senza farsi troppi scrupoli. Rimane tuttavia fondamentale il suo apporto alla storia dell’arte e alla lotta femminista della prima metà del Novecento italiano.
C’è tempo fino al 24 febbraio per chi desidera approfondire la vicenda di Margherita Sarfatti attraverso due mostre complementari a lei dedicate, presso il Museo del Novecento a Milano e al Mart di Rovereto.
FONTI
Rachele Ferrario: Margherita Sarfatti. La regina dell’arte nell’Italia fascista, Mondadori, Milano 2015