È possibile trovare su Facebook, o tramite una normale ricerca in Google, dei video in cui viene mostrata una semplice tecnica di intrusione nel corpo umano di chip sottocutanei. Esistono precise istruzioni, anche da autodidatta, su come effettuare l’auto-impianto su sé stessi tramite semplici kit acquistabili on-line su specifici siti internet. Si tratta perlopiù di piccolissimi strumenti digitali di riconoscimento e di gestione delle informazioni personali, attivabili con una tecnologia di tipo RFID (Radio Frequency IDentification), che si interconnettono e comunicano con altri strumenti elettronici come cellulari, computer, lettori magnetici e apparecchi similari. Questi micro-dispositivi, infatti, emettono frequenze radio che veicolano informazioni sulle persone che possono essere identificate senza alcuna operazione meccanica o manuale. La tecnologia digitale, che avanza ormai a livelli di sviluppo impressionante, ha comunque già prodotto, oltre a questi chip installabili sotto pelle tramite una speciale siringa o in casi più invasivi attraverso una piccola incisione con un bisturi, una serie di altri dispositivi già in uso massiccio sulla popolazione. Questi nuovi strumenti digitali sono in grado di avviarci alla trasformazione dell’uomo in cyborg, ovvero di organismi cibernetici in una commistione di umano e di robot. Si è iniziato con gli antesignani pacemaker-defibrillatori cardiaci o le protesi robotiche che si sono sviluppate in medicina ma anche con gli ormai noti tatuaggi digitali, i guanti robotici o gli esoscheletri per usi non esclusivamente legati alla disabilità ma in grado di potenziare determinate capacità fisiche o sensoriali umane.
Anche nel caso dei chip sottopelle nell’uomo non si tratta più di semplici sperimentazioni da laboratorio o di isolate curiosità scientifiche, ma di una realtà che si sta velocemente diffondendo soprattutto dopo anni di prove e dall’uso ormai sistematico effettuato sulle merci e sugli animali domestici. L’inserimento di un transponder (contrazione di transmitter-responder) nel tessuto sottocutaneo del proprio animale, che ne permetta il riconoscimento, viene oggi accettato senza troppe riserve etiche dalla collettività e scandito dalla sua ragionevole utilità.
In Svezia, paese da sempre all’avanguardia per le trasformazioni digitali, una azienda ha lanciato un programma volontario di adesione per i sui dipendenti per farsi impiantare un chip sottopelle con cui si possono facilitare le normali operazioni aziendali come le timbrature, l’interazione con le macchine, l’accesso ai varchi ma anche la possibilità di fare acquisti o accedere ai propri siti e dispositivi personali semplicemente avvicinando la mano ai lettori. Il chip, che viene iniettato sotto la pelle tra il pollice e l’indice in modo indolore attraverso un microago, rende quindi più rapide e semplici alcune delle normali operazioni burocratiche quotidiane e sarebbe già stato utilizzato da oltre 3000 persone, al punto che la compagnia ferroviaria di stato svedese “SJ” ha iniziato ad accettare biglietti caricati su microchip impiantati nelle mani dei viaggiatori.
Si stima inoltre che circa 10000 persone nel mondo abbiano sperimentato di intervenire direttamente sul corpo umano superando i suoi confini biologici e seguendo i principi del Biohacking, una filosofia che presuppone un controllo consapevole del nostro ambiente esterno per ottenere prestazioni fisiche e mentali ottimali del corpo umano. L’obiettivo finale di questa filosofia pratica è naturalmente quello di rendere la nostra esistenza più felice, sana e longeva e viene perseguito attraverso esperienze in rete o in laboratori di libero accesso a chiunque voglia rendere questa ricerca biologico-digitale più collettiva e cooperativa.
Tuttavia, evitando di ricorrere a scenari distopici di un concreto inizio di un mondo digitale umanamente interconnesso e cercando di acquietare in modo razionale una prima reazione emotiva di minacciosa inquietudine per tale possibilità, potremmo interrogarci su cosa sia davvero fattibile e cosa sia invece da relegare a pura fantascienza di questa bio-tecnologia invasiva, probabilmente destinata a diventare un paradigma dominante delle nostre società evolute.
Si tratta di una tematica contemporanea molto sensibile che richiama il movimento culturale e la filosofia del transumanismo, che pone il suo obiettivo finale nella trasformazione della condizione umana e nello sviluppo delle capacità fisiche intellettuali e psicologiche attraverso l’uso massiccio delle tecnologie. Convinzione dei transumanisti è infatti quella di poter portare nei prossimi decenni l’umanità ad uno stadio evolutivo post-umano. La convergenza di biotecnologie e genetica, lo sviluppo della robotica e delle nanotecnologie, la grande scommessa dell’intelligenza artificiale e delle neuroscienze permetteranno, secondo i transumanisti, di trascendere le nostre attuali limitazioni biologiche e di evolverci e riscattarci da processi naturali come l’invecchiamento, la malattia, il disagio e forse persino la morte. Ovviamente l’obiettivo primario sarà soprattutto quello di aumentare le capacità fisiche e intellettuali dell’uomo e di eliminarne le carenze e le sofferenze dentro i cardini guida di una nuova etica tecnologica.
Ma cosa si potrà intendere con essere post-umano? Un essere di intelligenza superiore a quella di qualunque genio mai esistito sulla terra? La possibilità di resistere alle malattie e all’invecchiamento o quella di avere il controllo sulle nostre passioni e i nostri desideri? Può inoltre essere plausibile che gli esseri di una specie post-umana decidano di abbandonare i propri corpi biologici in una rete di entità elettroniche dentro un mondo virtuale come second life?
La generazione Z del nuovo secolo, infatti, è nata on line ed interagisce ormai solo toccando uno schermo invece di una tastiera. Così come la generazione Y dei Millennials ha imparato a vivere con i social, trascorrendo gran parte della propria esistenza sulle piattaforme di Facebook, Google, Twitter, Wikipedia, Blog, YouTube e così via. È in questo mondo già virtuale, in cui siamo immersi e dove tutto è sempre disponibile, che gli oggetti e i processi si sono svuotati della loro connotazione fisica, sempre più concepiti indipendentemente dal loro supporto materiale. Un mondo di vita virtuale dove il flusso continuo delle nostre micro narrazioni, influenzate dalle tecnologie, invadono la nostra esistenza, le nostre relazioni e i nostri rapporti sociali. È nel Web che oggi troviamo uno strumento di affermazione delle nostre identità, in cui cresce l’esigenza dei soggetti della necessità di prendersi cura del proprio sé sociale, all’interno e tramite il mondo digitale. Il prossimo stadio sarà quindi inevitabilmente proiettato nell’esperienza della trasformazione dell’informazione e della comunicazione dove il confine tra analogico e digitale, tra materiale e virtuale, sarà sempre più sfumato.
È in questo contesto che si rende quindi necessario un potenziamento delle capacità umane di interazione, assimilazione e gestione delle informazioni attraverso l’uso di piattaforme e strumenti digitali sempre più interconnessi con la nostra biologia. Se ci proiettiamo in questa visione del futuro occorrerà accettare la natura diversa dell’intelligenza delle macchine e definirne il loro ruolo avanzato come compagni artificiali a noi interconnessi che interagiranno sempre più con la nostra esistenza, in cui il primordiale prototipo contemporaneo di chip sottopelle potrebbe rappresentare solo la punta infinitesimale di un immenso iceberg digitale ancora da esplorare.
FONTI:
Roberto Manzocco, Esseri Umani 2.0, Springer-Verlag, Milano, 2014.
Alessandro Delfanti, Biohacker, Scienze della vita e società dell’informazione, Eleuthera, Milano, 2013.
Riccardo Campa, La specie artificiale, Deleyva Editore, Monza-Roma, 2014.