Albrecht Dürer fu la prima personalità artistica transalpina a far propri i canoni della cultura e dell’arte italiana del ‘500. Egli fu il traduttore tedesco della nozione petrarchesca di “Rinascimento”, che per lui diventa “Wiedererwachung”, termine che riuscirà ad assumere connotazioni specificamente nordiche (o assolutamente dureriane), senza il rischio di far ricadere l’opera di Dürer, come spesso si fa, in un pallido scimmiottamento della maniera italiana. Questo autore fu infatti figlio geniale di innumerevoli suggestioni, passò per le più varie confessioni estetiche e, come gli spiriti più alti di quel tempo di “rinascita”, fu in grado di plasmarsi un dominio creativo che lo rese, anche al suo tempo, fautore di un’idea del tutto originale di sublimità.
Sicuramente tra le sue “letture artistiche” non mancarono i maestri dell’arte fiamminga, come van Eyck e van der Weyden, al cui apprezzamento fu molto probabilmente introdotto dal padre, l’orefice Albrecht Dürer “il Vecchio”. Fu sempre sotto spinta del padre che il giovane Albrecht potè ammirare (solo da lontano, in quanto non riuscì ad esserne allievo) il lavoro di Schongauer, uno dei più grandi incisori del suo tempo, la cui opera ebbe una necessaria eco nella leggendaria poetica xilografica di Dürer. Ma fu certamente di matrice italiana, più nello specifico (ma non unicamente) veneziana, lo sviluppo dello spirito artistico e filosofico dell’opera dell’incisore e pittore tedesco, che seppe trovare nelle innovazioni tecniche, nei sistemi teorici e soprattutto nelle idee filosofiche della cultura italiana rinascimentale, un punto d’appoggio storico per la sua ambizione ad una complessa sacralità, ad un orizzonte noumenico e mistico di significazione.
Se la maniera italiana seppe introdurlo (a nostro parere, mai in maniera definitiva) alle recenti invenzioni della prospettiva, della velatura, del tonalismo e del disegno moderno; la filosofia umanistica, essenzialmente neo-platonica, condusse la sua coscienza intellettuale all’ipostasi di un mondo eidetico, diverso ma non distaccato dal mondo del fluire materico, a cui le idee “donano senso” (“Sinngebung”, à la Husserl). La coscienza intellettuale-artistica di Dürer vede le cose, vede il creato, vede il Dio incarnato in Cristo, vede le speranze di ogni apprensione spirituale della sostanza mondana; come prodotto fondato dal dominio delle Idee, più reale, più originario e al di là dell’essere. Sebbene a Dürer non manchi una concezione naturalistica del mondo, e anzi, sia uno dei caratteri fondamentali della poetica dell’artista, questa non entra affatto in contrasto con la visione, mistica, spirituale, spesso alchemico-rivelativa dell’ultimo e primigenio orizzonte di senso del reale. Due prodotti emblematici di questa dialettica positiva tra “misticismo” e “naturalismo” sono rispettivamente l’incisione Melancolia (I) e il dipinto sull’Adorazione dei Magi.
In Melancolia viene rappresentata la sfera più sublime dell’attività umana, quella intellettuale. Ci si serve delle forme di una fanciulla alata che, attraverso la meditazione, avvia un processo creativo, riflettendo “l’unità tra il fare del genio e l’autoriflessione sui limiti ‘estetici’ di ogni immaginare” (F. Desideri, Il passaggio estetico). La malinconia dureriana è malinconia immaginativa, dello spirito poetico che, col suo sguardo assente dal sensibile, alienato nei sentieri che portano all’eidetico, si serve degli attrezzi del mondo, del sapere dell’essere umano e del flebile arrangiamento di oggetti significativi (i simboli alchemici, i volumi geometrici, gli strumenti tecnici…) per fare un passo in là verso la luce che non si presenta nello scolo del reale, nella polvere dell’apparente. Nessuno scetticismo, ma una fatica creativo-immaginativa che si fa fatica esistenziale: raggiungere l’infinitamente lontano, colmare lo iato tra sensibile e sovrasensibile. Dürer scrive, nei suoi Vier Bucher menschlicher Proportion: “Chiunque dimostra il suo caso e rivela la sottostante verità di esso mediante la geometria, quegli sarà creduto da tutto il mondo”. Uno sforzo che diventa persino una fatica etica, di restituzione del Totalmente Altro alla sfortunata banda di ciechi che noi siamo. Melancolia sviluppa, da basi scettiche, la novella più attesa e sconcertante, quella che annuncia la possibilità della ricerca dell’al di là dell’essere, ovvero dell’intrinseco motore in seno a ciò che ha senso e significato di esistere.
Questo platonismo tendente al misticismo, come precedentemente accennato, non impedisce al pittore tedesco di farsi portatore di un messaggio naturalistico tipicamente rinascimentale: egli fu anche scienziato, filosofo, geometra e curioso, che diede alla sua vita intellettuale il senso di una ricerca sulla natura e le leggi delle cose di cui l’Adorazione dei Magi è simbolo indiscusso. Nel quadro, ora conservato agli Uffizi, l’artista prende spunto dalle tecniche recentemente sviluppate nella Laguna, evidenti nello sprizzante cielo terso e nella serena velatura dei panneggi. A prescindere dai rimandi figurali e dalla destinazione semantica, è evidente il realismo figurale tipicamente nordico, che prende stavolta le forme di un’accurata raffigurazione scientifica dell’ambiente: da notare i particolari della vegetazione, degli insetti, delle nuvole. Ma andiamo dritti al significato: mentre i popoli di questo mondo sensibile (il bue e l’asino, il ladro, i cavalieri sullo sfondo, tutti perfettamente calati nella città in rovina del mondo pre-cristiano) non considerano la portata di un avvenimento epocale come la nascita del Redentore; i Magi, astrologi e scienziati, portavoce dell’intelligenza scientifica, sostengono lo sguardo della Vergine “Piena di Grazia”, assortita nei pensieri del Mistero dell’Incarnazione, e si meravigliano dell’Avvenire della Nuova Alleanza.
Nella Natura non c’è il Sovrannaturale, ma c’è la speranza del conseguimento. Di questo conseguimento la vita artistico-intellettuale di Dürer è immagine attiva, scena viva di un agognato riconoscimento dei misteri dell’anima e del mondo.