La contestazione giovanile e i movimenti studenteschi degli anni Sessanta

La contestazione giovanile e studentesca ha inizio negli Stati Uniti nel 1964 con l’occupazione del campus universitario di Berkeley in California per la protesta contro la guerra del Vietnam e la politica estera aggressiva del governo americano. Berkeley era già nota per i suoi movimenti studenteschi in particolare quello del Free Speech Movement, il movimento per la libertà di parola e quello del People’s Park, parco del popolo, famoso per l’attivismo delle sue proteste. Entrambi associati alla controcultura dei movimenti hippy, pur non avendo una precisa identità politica, rifiutavano in modo drastico i modelli della società consumistica americana. Non esistendo nessuna forza politica organizzata capace di una contestazione più ampia, sono quindi le forze isolate degli emarginati, dei neri dei ghetti, degli studenti universitari e dei movimenti della controcultura a rappresentare gli unici tentativi, anche facendo ricorso alla violenza, di mettere in discussione il sistema per un suo radicale cambiamento.

Altri importanti tentativi di contestazione e critica della società americana e del suo modello consumistico imperante in quegli anni furono rappresentati da una parte di artisti e intellettuali della beat-generation. La forza di contestazione estetico letteraria di scrittori come Jack Kerouac, Allen Ginsberg, William Burroughs, Gregory Corso e Lawrence Ferlinghetti, o di autori e musicisti emergenti come Bob Dylan, Joan Baez o Arlo Guthrie, avevano creato una solidarietà nei differenti strati delle nuove generazioni americane dando forma e voce al loro rifiuto del sistema. La negazione della società dei consumi espressa nelle opere di questi artisti si coagulerà nelle tendenze e nei movimenti beatnik, dei figli dei fiori e della cultura hippy. Queste nuove aggregazioni influenzeranno, con le loro manifestazioni e i loro valori, gran parte delle nuove generazioni degli anni Sessanta e costituiranno il sostrato ideologico dei movimenti di contestazione giovanile a partire dalle prime manifestazioni degli studenti americani del ʼ64 fino all’esplosione del movimento del ʼ68.

Questi movimenti simboleggiavano una risposta e una volontà di ribellione verso la società americana e dell’Europa occidentale, che non concedevano spazio a modelli di alternativa economica e politica, alimentando la rabbia giovanile non più tollerante dei valori ormai esausti delle generazioni precedenti. La rivoluzione culturale, che si poneva contro l’intero sistema della cultura borghese, si estenderà in quegli anni a tutte le forme di comportamento: dai modi di vestire, al linguaggio, alle relazioni sessuali e familiari, alle forme dell’arte, della letteratura e della musica. Tale rifiuto e sovversione, costituirà la premessa della rivoluzione politica e la riscoperta dell’individuo e della sua nuova sensibilità, nella ricerca di una libertà che ha il suo inizio negli anni Sessanta come spinta propulsiva nell’emancipazione dei sensi dell’uomo.

Nel 1964 a Berkeley la protesta degli studenti universitari contro la guerra in Vietnam , inizialmente pacifista, cercò di rompere la solidarietà americana a favore del conflitto imposto dal governo, che sosteneva e giustificava l’intervento come un’azione a salvaguardia della libertà e della democrazia. Ben presto la protesta si allargò a tutte le università americane diventando il simbolo di un malcontento diffuso nella società contro la guerra. Scopo dei contestatori era, inoltre, la messa in luce di come il potere politico e militare subordinassero la scienza a scopi di oppressione e di dominio politico ma soprattutto industriale-economico, indotto dalla produzione di armi e tecnologie sempre più distruttive come il micidiale napalm. Alle proteste seguirono atti di disobbedienza in cui gli studenti bruciavano le cartoline di richiamo alla leva ed esortavano i soldati a disertare, in una escalation di proteste e sit-in che sfociarono nel 1968 nelle violente manifestazioni delle università di Berkeley e Columbia a New York.

Questa utopia di liberazione ebbe successivamente molte adesioni anche in Europa, soprattutto da parte degli studenti e degli intellettuali che si riconoscevano nell’ideologia marxista. Tali giovani contestatori indirizzavano però la loro critica anche contro la società sovietica comunista considerata anch’essa come uno stato di regime oppressivo. Questa convinzione diffusa si consolidò soprattutto dopo l’invasione e la repressione brutale attuata in Cecoslovacchia nel 1968 da parte dell’URSS e dei suoi alleati del Patto di Varsavia nella “primavera di Praga” che attraverso il suo riformatore Alexander Dubček, voleva introdurre riforme di trasformazione per un socialismo dal volto umano. Alla critica delle società avanzate americana e socialista sovietica e delle loro mire espansionistiche internazionali, che portarono alle proteste del ʼ68, contribuirono anche le crisi dei paesi africani coi loro movimenti di liberazione contro le residue forze del colonialismo e le lotte contro i regimi dittatoriali dell’America Latina.

Oltre alle questioni e ai problemi internazionali, anche i problemi interni dei paesi occidentali industrializzati, della disoccupazione giovanile e della burocratizzazione del sistema universitario, diventarono potenti detonatori della protesta giovanile. L’irrequietezza degli studenti universitari e il rigetto dell’ordine costituito assunsero una carica a carattere rivoluzionario e la loro contestazione diventò globale. Una delle prime rivendicazioni della contestazione da parte degli studenti, fu la denuncia dell’autoritarismo. Molti ragazzi, infatti, contestavano un certo modo di esercitare l’autorità in maniera perentoria e assoluta che corrispondeva a modelli culturali ormai antiquati. Si diffuse tra i giovani l’utopia dell’uguaglianza universale di una società in cui nessuno avrebbe comandato. L’orizzonte della contestazione si allargò, in seguito, dalla scuola ad altre forze sociali in cui maturò anche la sollevazione sindacale dei movimenti operai estendendosi rapidamente all’intera società. Il movimento studentesco diventò un movimento di estrema sinistra, infiammato dalle speranze di rivoluzione e dalla volontà di trasformare il mondo del futuro, di cambiare il sistema nel suo insieme.

I movimenti del Sessantotto pur avendo una base ideologica comune ebbero comunque risvolti e caratterizzazioni specifiche nei singoli paesi. Nel breve corso di alcuni mesi gli studenti occuparono le università e le piazze nella Repubblica Federale Tedesca, in Francia, Italia, Svezia e Spagna ma anche nei paesi del blocco sovietico in Polonia e Cecoslovacchia; inoltre si attivarono proteste e sit-in anche nelle università di Giappone e Messico. Nelle università di Berlino, Parigi e Roma, la rivolta assunse caratteri di maggiore violenza e partecipazione massiccia degli studenti. All’università di Berlino apparvero i primi striscioni con la scritta Marx-Mao-Marcuse, lo slogan ideologico delle tre M che sarà presente anche negli scontri della Sorbona di Parigi e a Roma presso la facoltà di architettura, che rappresenterà l’evento iniziale da cui si estenderà la rivolta in tutte le università italiane.

Fu certamente significativa l’azione rivoluzionaria iniziata a Berlino del leader degli studenti socialisti Rudi Dutschke, soprannominato Rudi il rosso per le sue idee marxiste e il suo antiamericanismo contro la società capitalista. Elaborando gli insegnamenti di Marx, Mao, Marcuse e di tutti gli intellettuali marxisti della scuola di Francoforte, Dutschke diffuse, con la sua leadership sui movimenti di contestazione giovanile europei, le ideologie, gli slogan e i suoi scritti politici che infiammeranno nel 1968 la maggior parte delle università tedesche ed europee. L’attentato che subì da parte di un fanatico hitleriano durante il periodo più caldo dei movimenti studenteschi del ʼ68, concluse la sua parabola di profeta e teorico del movimento. Tuttavia, rimase la sua idea di “università critica” come mezzo per la nascita di una nuova forma di contestazione. La sua visione si basava sulla trasformazione delle università non in centri politici ma luoghi dove liberare il sapere dalla sua componente dogmatica per riportarlo alla sua essenza critica e radicata nei problemi reali della società contemporanea. La creazione di università libere e antiautoritarie non dominate o influenzate dai poteri politici o economici, avrebbe potuto consentire, nella convinzione degli studenti di Berlino, la creazione di strutture indipendenti e permanenti come modelli di trasformazione culturale.

Anche il maggio francese del Sessantotto parigino, rappresentò un punto di svolta delle rivolte studentesche, che si trasformò in guerriglia e coinvolse successivamente l’intera società. Quella del movimento studentesco francese fu una rivoluzione spontanea che si ribellò contro la società tradizionale rappresentata dal potere gollista allora dominante. La rivolta iniziò a Nanterre a seguito di una manifestazione degli studenti contro la guerra del Vietnam. La repressione che ne seguì, con la serrata della facoltà di lettere e la dispersione del movimento guidato dal leader dei ribelli, Daniel Cohn-Bendit, etichettato dalla stampa come Dany il rosso, scatenò la successiva rivolta che si estese alla Sorbona di Parigi, diventando il centro di una violenta insurrezione. La rivolta, che ben presto diventò politica e generale, vide l’adesione dei sindacati e dei movimenti operai alla protesta insieme al movimento studentesco. La contestazione si diffuse in tutti gli strati della società e spinse a scendere in campo intellettuali e personaggi del mondo della cultura come Jean Paul Sartre. Le sommosse iniziarono il 3 maggio con l’occupazione della Sorbona e i tentativi delle forze dell’ordine di disperdere la manifestazione sfociarono in una dura reazione degli studenti che occuparono il Quartiere Latino e organizzarono una imponente manifestazione per le strade di Parigi. Gli studenti raccolsero la solidarietà di operai e gente comune a cui seguirono l’occupazione di fabbriche e scioperi per formare, per la prima volta, tra la classe operaia e quella intellettuale un movimento omogeneo di rivendicazione dell’autonomia e della libertà. Gli studenti che ribattezzarono la Sorbona come “l’università del popolo”, rappresentavano la forza dirompente e innovatrice della generazione dei giovani, veri protagonisti rivoluzionari per la prima volta nella storia.

In Italia il movimento di protesta giovanile iniziò come ribellione contro il potere dei professori nelle università, con la prima occupazione nel 1967 dell’università di Trento, seguita dalla Cattolica di Milano e dalla facoltà di lettere di Torino, per estendersi poi agli inizi del 1968 a tutte le università italiane. Dalle università il movimento uscì poi nelle piazze dando luogo a scontri e cariche con la polizia di cui quello più significativo fu la “Battaglia di Valle Giulia” a Roma alla facoltà di architettura il primo Marzo 1968. Sotto lo slogan “vietato vietare” venne messo sotto accusa l’autoritarismo della scuola e dei docenti ma anche quello della famiglia con “contro i falsi padri e i falsi maestri”, per estendersi ad un rifiuto generale della gerarchia e dello stato “pagherete caro, pagherete tutto” e trasformando la protesta in un movimento sempre più politico e aggressivo. La maggior forza del movimento si espresse nelle università di Milano tra i cui leader vi era Mario Capanna, futuro capo di Democrazia Proletaria, che guidò le manifestazioni del Movimento Studentesco che spesso si trasformavano in tafferugli con la polizia fino ad arrivare a vere azioni di guerriglia urbana. Insieme agli studenti scesero poi nelle piazze anche gli operai nell’autunno caldo del ʼ69 iniziando una stagione di lotte sindacali e politiche sempre più accese e preludio della successiva stagione degli anni di piombo.

FONTI:

Guido Viale. Il 68. Tra rivoluzione e restaurazione, Nda Press, Rimini, 2008.

Loredana Guerrieri e Silvia Casilio, Il ʼ68 Diffuso, CLUEB, Bologna, 2009.

Marcello Flores e Alberto De Bernardi, Il Sessantotto, Il Mulino Bologna, 3003.

 Herbert Marcuse, Oltre l’uomo a una dimensione, scritti e interventi di Marcuse H., a cura di R. Laudani, trad. di S. Bonura e L. Garzone, Vol. I, Manifestolibri, Roma, 2005.

Diego Giachetti, Oltre il Sessantotto, Biblioteca F. Serantini, Pisa,1998.

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