Era il 1962, alla regia c’era Dino Risi, la sceneggiatura era affidata a Scola e Maccari e in scena c’erano Gassman e Trintignant, accompagnati da Catherine Spaak. Sì, stiamo parlando del super cult italiano famoso a livello internazionale, Il Sorpasso, film simbolo di un’ Italia che cambia.
Gli anni ’60 sono anni fondamentali nella nostra penisola, un momento in cui tutti “si mettono a correre” con le nuove macchine, le nuove autostrade, alla conquista di un benessere economico tanto agognato, e già ottenuto nelle altre grandi realtà europee. In ritardo come sempre, gli italiani questa volta cercano di recuperare, lottando contro la delusione seminata dalla tragedia appena trascorsa: la seconda guerra mondiale ha inflitto una ferita ricucita con una sfrenatezza che dal 1946 arriva al culmine con il boom economico di questi anni.
La diffusa sensazione di frenesia è delineata perfettamente ne Il Sorpasso dove un gigantesco Vittorio Gassman veste i panni dell’italiano medio completamente travolto dal cambiamento, ansioso di stare al passo coi tempi, tentando in ogni modo di distrarsi dalla penosità della propria vita.
Il tornando Gassman contrasta con il ben più pacato studentello di legge interpretato da Trintignant, concentrato sul raggiungimento dei propri obiettivi: alle feste scalmanate della giornata di Ferragosto, Roberto preferisce lo studio, in vista dell’imminente esame. I suoi buoni propositi dovranno fare i conti con un giovane energico sconosciuto, Bruno, solo durante la festa estiva, alla ricerca di una compagnia qualsiasi per celebrare il 15 agosto come tutti gli altri.
Per caso Bruno irrompe nella vita di Roberto, segnandola in maniera irreversibile. Le buffe vicende in cui i due sono coinvolti, sfrecciando a bordo di un’emblematica Aurelia, sono un pretesto che nasconde l’intento registico: tutto il film è un tragico riflesso degli effetti del boom economico sull’Italia e sugli italiani.
Da un lato Bruno che con l’amore per la velocità, il disprezzo per i ciclisti, l’esaltazione della novità e del miracolo futuristico incarna il generale entusiasmo dei cittadini per il cambiamento appena arrivato, dall’altro Roberto è il portavoce di quella classe medio borghese che stentava ad adeguarsi alle novità portate dal boom economico, rimanendo concreto nella propria nicchia d’ideali, senza tuttavia disdegnare la seduzione dei nuovi piaceri.
Dal loro incontro risulta un’immagine pittoresca, quella di un’Italia che fa sfoggio della novità. La società degli anni 60 è anche si affaccia al consumismo, e non a caso il film passa in rassegna frigoriferi, televisioni, telefoni a gettone, vacanze al mare, tutti simboli di questa nuova tendenza ad accumulare, a comprare per esibire, dimostrando di aver sorpassato la soglia della povertà. Ma questo non basta a eliminare gli atteggiamento di razzismo ed omofobia che avevano caratterizzato gli anni del fascismo da poco trascorsi, persistenti nei gesti e nelle espressioni dei personaggi.
Ciò che più di ogni altra cosa rende un capolavoro questo road movie all’italiana è il finale. La morte di Roberto e la risposta di Bruno “Si chiamava Roberto, il cognome non lo so l’ho conosciuto ieri mattina” fanno riflettere. Dove ci ha portato questo sorpasso? Lasciamo rispondere il maestro Risi:
“Quando tutti hanno finito di comprare tutto, eccoci qui, eccoci nella profonda depressione”