La coscienza è ciò che mi appartiene in quanto oggetto di un accesso privato, di un accesso che non è “conoscitivo”, come per tutte le cose del mondo esterno, ma, in qualche senso, “sentimentale”. In altre parole: mentre per avere un contatto con ciò che è esterno alla mia soggettività ho bisogno di legarmici attraverso i sensi, il ragionamento e la distanza cognitiva, non devo avere un rapporto del genere con la mia “sfera interna”, perché “sento” di essere me stesso, e nessuno potrebbe distogliermi da questa credenza. Molto semplicemente, qualcuno potrebbe dirmi che il mondo esterno non esiste realmente, che è tutta un’illusione, un Matrix; ma nessuno potrebbe convincermi del fatto che “io” non esista, che ciò che considero il “sentire di essere me stesso” non esista. Cogito ergo sum, è stato detto.
Ovviamente la questione è annosa e controversa per via delle molte possibili prospettive da cui il problema può essere trattato. Ma basti ammettere, con quella che credo essere un’accettabile approssimazione intuitiva alla questione, che conosco ciò che “io sono” in maniera diversa da tutto ciò che quel che mi è esterno “è”. Potremmo osare ulteriormente, e persuaderci che la verità della mia coscienza non deriva da criteri oggettivi di esistenza, ma dalla pura convinzione, veridicità e fiducia nel fatto che chi vive quello che io vivo sono proprio “io”. È quasi tautologico: la mia coscienza non può mentire a ciò che “io” sono.
Ammesso che queste generalizzazioni siano legittime, possiamo chiederci se questa condizione di “soggettività” sia qualcosa che condividiamo con altri esseri viventi, altre intelligenze, altre entità biologiche o tecnologiche. Ma è facile dimostrarlo? Tutt’altro. A rigor di logica è persino impossibile, dal momento in cui l’accesso prima evocato con cui accediamo alla nostra coscienza è qualcosa che riguarda esclusivamente “me”, la mia sfera privata (non posso accedere alla coscienza del mio cane, ammesso che ne abbia una! Stesso vale per la tua stessa coscienza, o per quella di chiunque altro, ammesso che tutti voi ne abbiate!). Questa eteronomia tra l’accesso al mondo esterno e quello al mondo della coscienza è stata collaudata filosoficamente da autori come D. Chalmers, T. Nagel e F. Jackson. Sembra che nemmeno i più noti detrattori della “privacy” della coscienza (D. Dennett, D. Armstrong in qualche modo, P. Feyerabend, P. Churchland…), convinti che il problema dei due accessi non sussista, siano riusciti a venire definitivamente a capo dei dilemmi posti da quegli autori: come ci si sente ad essere un pipistrello? Beh, non lo saprò finché non sarò “io” steso un pipistrello; e se tutti i miei amici fossero zombie, automi senza coscienza? Purtroppo non potrò mai dimostrare né questo né il contrario; e se io vedessi come rosso ciò che tu vedi come blu? Buon per te! Dimostramelo!
Non posso avere accesso alla mente cosciente del mio cane o a quella di un mio amico. Sembra che il suolo della “prima persona singolare” sia definitivamente riservato, a mia esclusiva disposizione. E che dire di un’Intelligenza Artificiale? Ovviamente si tratta di un problema non da poco, dal momento che molte delle nostre speranze e timori sul futuro poggiano sulla quasi-certezza che tra qualche tempo più o meno lontano un’intelligenza in silicone, magari una “superintelligenza”, prenderà il posto della nostra vecchia intelligenza biologicamente evoluta. Ma questo almeno a due condizioni centrali: che sappiamo cosa faccia di un’intelligenza un’intelligenza; che capiamo come immettere quel quid nei meccanismi di un oggetto funzionalmente e materialmente adatto. Ma basta soffermarsi sulla prima condizione per render conto dell’immenso problema che l’IA rappresenta. La nostra esclusiva intelligenza umana risiede nelle nostre abilità computazionali? Non credo, visto che Deep Blue ci ha battuto a scacchi e Alpha Go, per l’appunto, a go. Allora risiede nella mia capacità di apprendere e servirsi della mia memoria? Mi sembrerebbe assurdo, visto che l’OLCF-4, il più potente supercomputer al mondo, ha una potenza di 200 petaFLOP, mentre il nostro cervello ne ha appena un centinaio. Allora è una questione di capacità associativa? Non credo, visto che, se io faccio fatica ad associare un nome al viso di una persona che non vedo da molto tempo, il più obsoleto dei browser stila in qualche decimo di secondo una lista di miliardi di link associati a quell’input consistente in quelle due o tre parole che ho digitato. Ma allora di che si tratta? Cosa, dell’intelligenza umana, è propriamente e immancabilmente umano? Molti, dai pessimisti sull’IA come J. Searle agli ottimisti come R. Kurzweil, sono certi che si tratti proprio della coscienza. Di certo, per come l’abbiamo presentata, non è né la migliore amica di uno scienziato che indaghi sul suo sostrato biologico o materiale, né di qualunque saggio sulla montagna che ricerchi l’enticità dell’ente o il luogo d’apertura dello spirito. Tuttavia, questo quid così essenziale all’intelligenza, tanto da esserne addirittura condizione sufficiente, sembra essere quella chiave di volta che sosterrebbe definitivamente quelli che fino ad oggi sono stati solo i sogni e le speranze di qualche ingegnere, scienziato cognitivo e informatico. Anzi, è quasi necessario estendere la necessità di questo concetto a tutta la sfera della cultura umana: la scoperta del quid della coscienza gioverebbe alle analisi dello psicologo, alle costruzioni del moralista, alle letture del poeta, alle postulazioni di qualunque scienziato… E la sfida sulla costruzione di una macchina cosciente non è che la più chiara manifestazione della radice del problema della coscienza, con la sua vaghezza e inafferrabilità. Già agli albori dell’IA, grandi menti come Turing capivano che la domanda intorno alla creazione di un’intelligenza in laboratorio era una domanda sull’intelligenza umana, sui suoi misteriosi fondamenti. L’era della grande ricerca sull’IA da parte di Google, IBM, Facebook e altri colossi della ricerca e dell’industria, ci mette davanti all’imbarazzante e stimolante momento dell’umanità in cui la scienza, la tecnica, la poiesis e la mimesis, non sanno cosa aspettarsi da ciò che progettano. Una sfida coi fiocchi per ogni intellettuale o intelligente del nostro tempo.
Fonti:
Per un’introduzione alle tematiche sulla coscienza:
– Di Francesco, Maraffa, Tomasetta: Filosofia della mente. Corpo, coscienza, pensiero, Carocci editore, Roma, 2017
– Per un’introduzione alle tematiche sull’IA:
– Russell, Norvig: Intelligenza artificiale. Un approccio moderno (Vol. I e II), Pearson, Milano, 2010
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