Il Clan, del regista argentino Pablo Trapero, è una interessante opera cinematografica incentrata su una tematica scabrosa di cui molti ignorano l’esistenza: la dittatura di Jorge Videla in Argentina, meglio conosciuta con il nome di Proceso de Reorganización Nacional, e il conseguente fenomeno dei desaparecidos che sconvolse l’America latina tra il 1976 e il 1983. Uno dei periodi più bui e sanguinosi del ‘900 che costrinse numerosi paesi a vivere anni di terrore e ingiustizie che si tradussero in crimini efferati contro l’umanità.
La fine degli anni ’70, nonché il periodo più violento della dittatura, passò alla storia a causa delle numerose sparizioni attuate da organismi di potere e squadroni della morte ai danni di civili, presunti terroristi e membri di guerriglie armate ribelli. Non bastò il ritorno alla democrazia da parte di Raúl Alfonsín per sedare definitivamente l’incubo dei desaparecidos e ristabilire la pace in un paese sconvolto psicologicamente. Il film di Trapelo, ambientato appena dopo la fine della dittatura di Videla, analizza le conseguenze e gli effetti collaterali scaturiti a seguito di anni di oppressione e annientamento dei diritti umani e civili. Il Clan è un’opera importante che porta alla ribalta un argomento mai dimenticato attraverso il racconto di una famiglia fin troppo legata ai danni di un passato indecente.
Il signor Arquimédes Puccio, ex membro dei servizi segreti argentini operante sotto il comando dei militari, è un uomo qualunque il cui lavoro consisteva nel sequestrare le bande di sovversivi, nonché i nemici dello Stato, per poi torturarli e farli “scomparire” gettandoli da aerei in volo, vivi o morti che fossero. Durante gli ultimi anni del regime, quando già la situazione stava poco a poco cambiando e l’Argentina si lasciava alle spalle le politiche dittatoriali tipiche dei primi tempi, Puccio rimane senza “lavoro” e, aiutato da alcuni complici, organizza sequestri di persone facoltose nella speranza di ottenere ingenti riscatti. Mette a disposizione la cantina della propria casa come nascondiglio dei sequestrati, arruola il primogenito Alejandro come fido aiutante e coinvolge indirettamente la sua numerosa famiglia che, a eccezione della moglie, sa poco o niente riguardo gli affari del padre.
Arquimédes Puccio prova gusto nel fare quello che fa e rivive animosamente ciò che poco tempo addietro costituiva il suo lavoro segreto. Oltre che per i soldi, motivo primario che alimenta le gesta del protagonista, cerca di soddisfare il bisogno personale di tornare a vivere quell’epoca così tanto rimpianta. Puccio, mosso da un sentimento di profonda nostalgia, non accetta che l’Argentina si stia indirizzando verso un’era di rinnovi e cambiamenti e decide di agire controcorrente. Ma lui non fa più parte dei servizi segreti e l’Argentina non è più una dittatura.
Le cose sono cambiate, la gente è cambiata e la politica è cambiata. Puccio, al contrario, è rimasto lo stesso uomo normale di sempre, padre amorevole e marito ideale che sotto quell’apparente aspetto di persona per bene nasconde un sadismo radicato nel profondo del suo animo spietato e contorto. Calza a pennello la sconvolgente affermazione che fece Primo Levi riguardo all’esistenza dei mostri nella nostra società:
“I mostri esistono però sono troppo poco numerosi per essere davvero pericolosi, quelli che sono davvero pericolosi sono gli uomini comuni.”
Arquimédes Puccio è un uomo comune.
Sarebbe sbagliato considerare Il Clan un film sulla dittatura argentina a tutti gli effetti. Di essa è presente lo scheletro, l’anima o meglio dire il fantasma che, silenzioso e indifferente, si aggira nelle vite della popolazione. Trapelo mette in gioco una regia interessante, non eccezionale per quanto riguarda l’opera in toto ma sicuramente non indifferente. Lunghissimi primi piani sui volti e una fotografia con colori desaturati che catapulta nel passato, per non parlare dei lunghi piani sequenza ottimamente gestiti e per lo più utilizzati nelle scene improntate all’azione, come la memorabile sequenza del sequestro a metà film girata quasi interamente in semi soggettiva.
Trapelo dirige un film realistico e fedele nella rappresentazione dei fatti, vero nel mostrare i procedimenti di sequestri e sparizioni ma forse a volte un po’ altisonante nel voler – scelta registica che continua a risultare incomprensibile – accostare situazioni tragiche a brani musicali che, al contrario, suggeriscono allegria e spensieratezza. Il film pecca proprio sulla decisione azzardata – scelta che ricorda il miglior Scorsese – di voler strappare una risata mettendo in mostra un brutale omicidio. Espediente registico che Trapelo non riesce a contestualizzare nel migliore dei modi finendo per creare una tediosa divergenza tra la parte uditiva e quella visiva.
Nonostante qualche piccola imprecisione, Il Clan mostra caparbiamente le vicissitudini di un periodo storico sanguinoso attraverso una narrazione fluida e lineare che intende risaltare i personaggi per trovare nelle loro azioni il vero punto di forza del film. Il personaggio di Puccio, anziano e legato inesorabilmente al suo passato, costituisce il centro nevralgico di un sistema corrotto e ormai sepolto dal ritorno della democrazia mentre il figlio Alejandro, un giovane che guarda al futuro, è il simbolo di un cambiamento che si trascina a fatica in un oceano di difficoltà e false verità.
Pablo Trapelo affronta uno dei momenti più sconcertanti e forse più sconosciuti del ventesimo secolo. Un periodo conosciuto a fatica che meriterebbe di essere ascoltato e compreso. Il Clan è la storia di una famiglia che non riesce a uscire dal proprio passato e accettare l’epoca del cambiamento in un’Argentina sconvolta dal terrore e dai soprusi di una dittatura sanguinosa.
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