Scolpitelo nel vostro cuore, di Liliana Segre: necessaria testimonianza del passato nonché monito per il futuro

Sono passati 75 anni da quando Auschwitz ha aperto i suoi immondi cancelli al mondo e molti saggi, studi e testimonianze di tutti i generi sono circolate per definire l’Olocausto, eppure tutto ciò non sembra mai abbastanza esaustivo. Liliana Segre, alla presentazione di Scolpitelo nel vostro cuore – Dal binario 21 ad Auschwitz e ritorno: un viaggio nella memoria avvenuta durante le giornate di Milano Book City 2018, si è dimostrata preoccupata in merito al lascito della memoria della Shoah, una volta che l’ultimo testimone sarà scomparso. Il tempo che divora tutto si porterà via anche gli ultimi sopravvissuti ai lager nazisti e, forse, insieme a loro la speranza e l’impegno affinché le generazioni successive non alimentino un simile male.

Da questo timore di perdere il legame tra passato e presente nasce la missione di Liliana di incontrare i giovani e scolpire nel loro cuore il suo messaggio e il suo vissuto, affinché la Shoah non diventi una flebile eco in lontananza. In questi tempi in cui la tragedia dell’Olocausto è percepita come un evento lontano dalla loro realtà, Scolpitelo nel vostro cuore è un libro necessario che raccoglie una breve testimonianza della sua esperienza all’alba delle leggi razziali del 1938 e della conseguente deportazione nel campo di sterminio di Auschwitz. Occorre precisare che Scolpitelo nel vostro cuore non è ascrivibile a un romanzo, in quanto si ha l’impressione di avere tra le mani la trascrizione di una sua testimonianza orale, molto vicina a quelle che riporta nelle scuole quando va a parlare ai ragazzi, i suoi «nipoti ideali per un’ora o poco più», come ama definirli: Liliana non si definisce una scrittrice né vuole essere affiancata ai memorialisti della Shoah come Elie Wiesel o Primo Levi.

La prosa, dunque, è molto asciutta, paratattica, essenziale, lapidaria e immediata, esattamente come è Liliana quando parla: sincera, diretta, senza fronzoli. Ne consegue la sensazione durante la lettura, tanta è la sua potenza comunicativa, di essere a un incontro con lei, in presenza dei suoi limpidi occhi attenti che rievocano l’orrore vissuto dinnanzi a sé per testimoniare l’indicibile, il cui sguardo non si riesce a sostenere se si pensa alle atrocità che ha sopportato. Secondo la curatrice Daniela Palumbo la forza di questo libricino consiste nell’utilizzare termini ben precisi volti a rendere attuale la storia sua e dei 7500 ebrei italiani «che sono cenere nel vento» come “profuga”, “clandestina”, “rifugiata” e “schiava lavoratrice”: Liliana Segre è stata anche questo. Qui la sua energia, qui l’attualità, il valore della storia, il dovere di testimoniare e tenere accesa la fiamma della memoria.

Iniziamo dalla fine: squilla il telefono di Liliana Segre il gennaio scorso e, dall’altro capo, si sente la voce del presidente Mattarella, la cui telefonata è motivata dalla proposta di nominare la Segre senatrice a vita. A quella bambina cui, ottant’anni fa, erano state chiuse le porte della scuola, ora vengono aperte quelle del Senato: il cerchio si chiude e questa volta le porte si spalancano per la piccola Liliana; insieme a lei in quell’aula entrano anche quelle voci dei 7500 ebrei italiani morti nei campi di concentramento, che ormai sembrano affievolirsi sempre di più.

«Soprattutto si dovrebbe dare realmente la parola a quei tanti che, a differenza di me, non sono tornati dai campi di sterminio, uccisi per la sola colpa di essere nati. Loro, che non hanno tomba, che sono cenere nel vento.»

Nell’anno in cui vengono proclamate le leggi razziali Liliana è una bambina di otto anni che viene espulsa dalla scuola elementare di Milano per la sola colpa di essere nata: questo è il momento in cui la piccola diventa cosciente di essere diversa, l’altra, l’ebrea. Eppure, nella sua famiglia di origine ebraica erano tutti agnostici e lei di ebraismo aveva solo sentito parlare a scuola, dal momento che non prendeva parte all’insegnamento di religione cattolica. Quando il padre Alberto, durante una cena in famiglia qualunque, le comunica con fermezza che il giorno dopo non potrà più andare a scuola la bambina risponde con una domanda: «Perché?». Inizia così a germogliare quella martellante sensazione di un peccato atavico, della colpa di essere nata. Perché una bambina viene espulsa da scuola se non ha fatto nulla di male? Perché essere ebrea le costa tutto questo? Quando Liliana si sofferma su questo momento, il principio della sua tragedia, dice sempre che dopo ottant’anni ancora non sa rispondere a quell’interrogativo della bambina che fu.

Gli anni successivi all’espulsione di Liliana dalla scuola pubblica sono carichi di incertezze verso il futuro, dell’indifferenza degli amici che, piano e silenziosamente, si allontanano dalla famiglia Segre, e, soprattutto, dalle preoccupazioni di un padre ben determinato a tentare di emigrare in Svizzera per salvare la sua principessa, ma non prima di essersi assicurato che i propri amati genitori non vengano portati via dalla loro casa. La Svizzera, nell’orizzonte della piccola Liliana, è la terra della salvezza, dove lei e suo padre tentano di entrare con dei documenti falsi.

Liliana e Alberto Segre

«Ho provato sulla mia pelle cosa significa essere una clandestina. Con i documenti falsi. Oggi, quando sento parlare di clandestinità, queste cose mi tornano in mente. Io lo sono stata, con mio padre avevamo dei documenti falsi perché cercavamo di fuggire alla persecuzione. E sono stata una richiedente asilo. So cosa significa essere respinta quando pensi di essere salva. […] Io avevo tredici anni, e lì mi sentii perduta. La nostra fuga era finita. Io so cosa significa essere respinti. Perdere in un attimo tutta la speranza.»

Al confine svizzero Liliana e suo padre vengono catturati, arrestati e trasferiti in due carceri diversi per poi ricongiungersi in quello di Como, l’ultima casa che condivideranno insieme. In quei giorni di prigionia Alberto Segre, l’eroe di Liliana, si mostra per il fragile, spaventato, perso e sconfitto uomo che in realtà è chiedendo scusa a sua figlia per averla messa al mondo e, poi, per non essere stato in grado di salvarla.

Nel gennaio 1944 i Segre vengono portati al binario 21 della stazione Centrale di Milano, da cui Liliana era solita partire per le vacanze insieme alla famiglia. Da quel binario sotterraneo, da dove in genere partivano le merci e gli animali, ha inizio, in un vagone bestiame, il viaggio verso una destinazione a loro ignota: è il primo passo verso la degradazione degli ebrei in stücke (“pezzi”, dunque animali da macello) e verso il loro annientamento. Dopo una settimana di viaggio gli ebrei milanesi arrivano alle porte di Auschwitz, dove le guardie dividono brutalmente uomini e donne, attuando, a loro insaputa, una prima selezione tra chi mandare direttamente alle camere a gas e chi, invece, far lavorare al campo come schiavo. In questo momento Liliana e suo padre vengono separati, le loro mani allontanate e, pian piano, si perdono di vista: Liliana non lo rivedrà mai più.

«Nessuno dei due voleva far vedere la disperazione dell’altro, soprattutto io. All’inizio lo salutavo da lontano, ma poi lui scomparve dalla mia vista, lo cercai tanto, ma non lo vedevo più. Quel ricordo è eterno dentro di me. La spianata bianca come la neve. Udire quel comando: uomini a destra e donne a sinistra. Io che perdo la mano di mio padre. Fu il mio ultimo istante con lui.»

La tredicenne Liliana entra nel campo di Auschwitz-Birkenau e inizia a lavorare in una fabbrica di munizioni, impaurita, debole, compiendo lucidamente una scelta, quella di vivere. Questa sua strenua voglia di sopravvivere giorno dopo giorno, secondo l’autrice, l’ha salvata dall’oblio e dalla morte, permettendole, dopo più di un anno nel campo, di affrontare la “marcia della morte” nel ritorno a casa, una gamba davanti all’altra.

Tornare alla vera vita, però, risulta più doloroso che non essere sopravvissuti all’Olocausto: Liliana è un’adolescente ribelle e inselvatichita che fatica ad adattarsi alla vita civile. Questa irrequietezza e la sensazione di non essere compresa pienamente scompaiono solo quando incontra Alfredo, anch’egli detenuto in un campo di prigionia per i militari italiani che non avevano aderito alla Repubblica di Salò, che diventerà suo marito.

Si deve, però, aspettare quasi metà secolo per una testimonianza attiva di Liliana sulla Shoah: vedendo il futuro, impersonato in questo caso dalla nascita del primo nipote, farsi strada, decide di rompere quarantacinque lunghi anni di silenzio sull’argomento. È proprio in vista di un futuro diverso, per i ragazzi, che Liliana a ogni incontro attua un doloroso e doveroso squarcio sulla sua vita presente, sulla Liliana donna e sopravvissuta, per rievocare la Liliana prigioniera e la sua storia.

«Quando termino, spesso i ragazzi mi chiedono cosa possono fare per non rendere vane le mie parole. Io rispondo di continuare a combattere la menzogna, da chiunque arrivi. Questo è anche un modo per non dimenticare gli esseri umani che hanno messo in gioco la propria vita perché credevano in un mondo più giusto. Sconfessate la menzogna. Diventate candele della Memoria.»

Leggere Liliana Segre significa ricevere una carezza inizialmente fredda e a tratti ruvida, che lascia il segno, ma poi calda e rassicurante; il suo Scolpitelo nel vostro cuore è un seme della memoria da custodire con cura e da cui far germogliare un fiore di resistenza, memoria e humanitas.

 


FONTI

Liliana Segre, Scolpitelo nel vostro cuore – Dal binario 21 ad Auschwitz e ritorno: un viaggio nella memoria, a cura di Daniela Palumbo, Piemme editore, Milano, 2018.

Gian Antonio Stella, Liliana Segre difende la memoria «Sono stata clandestina anche io», “Corriere della Sera”, 18 Novembre 2018.

Clarissa Ward, Antisemitism never disappeared in Europe. It’s alive and kicking, “CNN Edition”, 28 Novembre 2018.

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