La Channukah – che significa inaugurazione o dedica – è una festività ebraica conosciuta come Festa delle luci. Otto giorni è la durata dei festeggiamenti, Erev Chanukkah è la prima sera che la inaugura. Il 24 Kislev inizia il tutto, ma è l’indomani a essere al centro della celebrazione. Dal momento che il mese di Kislev – mese corrispondente al nostro novembre o dicembre – ha una durata di 29 o 30 giorni, secondo il calendario ebraico, la festa termina il tre Tevet. Nel 2018 inizia il 2 e finisce il 10 Dicembre. Ogni anno la data di inizio varia.
Chanukkià è il nome del candelabro a nove braccia che viene accesso durante la Festa dei lumi, come viene narrato nel Talmud, uno dei principali testi sacri dell’ebraismo. La storia si intreccia con dell’olio di oliva puro, grazie alla combustione del quale veniva illuminata la Menorah – la lampada dai sette bracci – accesa nel tempio di Gerusalemme.
Si aggiunge una candela per ogni giorno di festa oltre alla Menorah già presente e l’ordine è orizzontale: si segue una fila e le candele vengono posizionate a partire da destra verso sinistra, ma accese al contrario, da sinistra verso destra. Fondamentale è quella centrale detta Shamash perché indispensabile per accendere le altre.
Momento cruciale della festa è l’inaugurazione del nuovo altare nel Tempio di Gerusalemme, per ricordare la conquistata liberazione dall’occupazione siriana ellenica. Dopo aver ottenuto l’indipendenza da Antioco IV Epifane il tempio venne ripulito e un nuovo altare costruito.
Nel 200 a.C la terra di Israele era abitata dagli ebrei che si trovavano sotto il potere dei Seleucidi stanziati in Siria. I rapporti erano tranquilli, le relazioni tra i due popoli pacifiche e serene, la convivenza quasi perfetta. Ma ecco che a un certo punto tutto cambiò: Antioco salì al trono e i problemi iniziarono.
Costretti a infrangere la propria fede, mancare di rispetto alla propria religione, trasgredire i propri valori: il sovrano seleucide obbligò gli ebrei a violare le loro credenze, i principi in cui credevano. Come se non bastasse il re profanò il sacro Tempio di Gerusalemme.
Giuda Maccabeo: ecco che nel 165 a.C. arrivò il salvatore, figlio di un sacerdote ebreo, di nobile famiglia e appartenente alla dinastia degli Asmonei. Sconfisse l’oppressione del re Antioco IV e pose fine al suo disegno di ellenizzare il mondo ebraico, minacciando il monoteismo. Giuda era il paladino della giustizia, colui che aveva ristabilito l’ordine e aveva sconfitto il malvagio nemico.
Maccabeo fu il suo soprannome che fa riferimento a un versetto biblico:
“Chi è come te
Tra i potenti, o Eterno?”
(Esodo, 15)
Le iniziali delle parole formano il termine “Maccabi” che deriva a sua volta dall’ebraico Maqqabah, martello e indica così la forza e il coraggio dell’eroe ebraico.
Gerusalemme era stata finalmente liberata, il tempio riconquistato e andava purificato, bisognava assolutamente eliminare ogni simbolo che indicasse il passaggio e la degradazione portata da Antioco. Vi era l’urgente bisogno di cancellare la profanazione attuata dal re, partendo proprio dalla rimozione di tutti i simboli greci e profani. Giuda Maccabeo ordinò inoltre di riaccendere le luci del candelabro e far bruciare le candele per otto giorni consecutivi, alimentate dall’olio. La leggenda narra che la sostanza liquida era poco e sarebbe bastata solo per un giorno.
Ma ecco che avvenne il miracolo. Con stupore gli ebrei si accorsero che la piccola quantità di olio durò per più di una settimana e le candele si spensero proprio sul finire della celebrazione e fu lo stesso Maccabeo a istituire questa festività che ricorre annualmente.
Ma dietro a una celebrazione così allegra, luminosa e chiara si nota ben presto quanto lati oscuri in realtà essa nasconda. È proprio grazie al sentimento religioso e alla volontà pochi ebrei non corrotti che Giuda poté raggiungere il proprio scopo e quello dei suoi compagni di fede. Altri invece si lasciarono ingannare.
I più attenti e rispettosi ebrei – che erano in netta minoranza – non sopportavano queste ingiustizie né erano disposti a piegarsi alle volontà di potenti. I più fantasiosi erano proprio i bambini, curiosi di leggere i libri sacri appartenenti alla propria religione e furbi al tempo stesso. Ma non potevano farlo alla luce del giorno.
Leggevano di nascosto e non appena venivano colti improvvisamente dai militari ellenici, estremamente attenti a far rispettare le leggi anche con la violenza, nascondevano i testi e improvvisavano di giocare al sevivon per distogliere l’attenzione.
Una sorta di trottola il sevivon era anche detto dreidel ed è utilizzato tutt’oggi dagli ebrei. Il gioco è molto semplice ma ha una grande tradizione storica dietro come si può facilmente intuire. Monete, noci e cioccolatini si mettono in mezzo al tavolo e, a turno, si gira la trottola.
Essa è formata da quattro facce e sono proprio queste a determinare le sorti del gioco: se cadendo si posa sul lato della nun, non si vince né si perde, sulla gimel si vince l’intero ammontare del bottino, sulla hei solo metà e se cade sulla shin si deve mettere un altro soldo in mezzo.
Non manca nemmeno la tradizione culinaria. In occasione della Chanukkah cibi fritti nell’olio vengono consumati nel ricordo del miracolo del candelabro nel tempio. Il latkes è un pancakes fatto con le patate, cipolla, farina e sale, solitamente accompagnato da una mousse di panna acida o di mele. Infine si festeggia anche con morbide frittelle ricoperte interamente di zucchero farcite, le Sufganiot.
Ma cosa rappresenta questa luce? È illuminatrice, ispiratrice e rappresenta tutto quel che di positivo può esistere. L’amore è ciò che gli ebrei vogliono portare alla luce, attraverso l’unione e l’educazione. Il messaggio è universale e lo si vuole trasmettere ovunque. Tutto è rappresentato simbolicamente dalla festa e dal miracolo.