Phubbing, il fenomeno di chi ha la testa nello smartphone

A casa, sui mezzi, al lavoro, davanti a un caffè, con gli amici o in famiglia: a quanti capita di prendere istintivamente in mano il proprio smartphone? Iniziare a controllare le notifiche, informarsi sulle ultime notizie, magari solo curiosare sui social: ecco a voi il phubbing.
Il phubbing è un neologismo coniato già nel 2013 ed entrato ufficialmente nell’Oxford Dictionary dal 2016 dall’unione delle parole inglesi phone e snubbing, che rispettivamente significano “telefono” e “snobbare, ignorare”, ed indica quel bisogno compulsivo di utilizzare lo smartphone isolandosi rispetto al contesto, soprattutto quando in compagnia di altre persone. Tendenzialmente si verifica quando il livello di interesse nella conversazione e nella situazione circostante cala, o si inizia a sentire un senso di trascuratezza e disagio con l’interlocutore. “Che male c’è?”, potrebbe pensare qualcuno.


A quanto pare, il phubbing non è un atteggiamento particolarmente positivo: secondo studi recenti effettuati da Meredith David e James Roberts della Baylor University, può avere conseguenze molto negative sulle relazioni sociali. Primo, chi fa phubbing viene considerato maleducato, poco rispettoso e asociale – il che è tutto dire, considerato che una persona guarda il telefono in media 150 volte al giorno. In secondo luogo, come riportato da una delle loro ricerche intitolata “La mia vita è diventata la più grande distrazione dal mio telefono” effettuata su più di 330 persone, si evince che l’abuso degli smartphone può portare al declino delle relazioni più importanti, quali familiari, amici e partner.

La David sottolinea:

Quando un individuo subisce phubbing si sente socialmente escluso. Questo conduce a un bisogno molto forte di attenzione, ma invece di recuperare l’interazione faccia a faccia – e così ricostruire un senso di inclusione – i partecipanti alla nostra indagine si sono rivolti ai social network per riguadagnare quel senso di appartenenza. Subire l’esclusione da phubbing è anche collegato a un indebolimento del proprio benessere psicologico. Infatti chi viene escluso più spesso per questi atteggiamenti ha fatto registrare più elevati livelli di stress e depressione.

Infine, secondo una ricerca successiva di Wilhelm Hoffman della Chicago University, il bisogno di controllare il telefono è diventato talmente maniacale da superare il desiderio di sesso, intimità e sonno – c’è qualcosa su cui riflettere e prendere coscienza, diremmo noi.

Dunque, sebbene l’obiettivo degli smartphone sia proprio quello di collegarci con gli altri in modo semplice ed immediato, il risultato ottenuto ha effetti contrari generando una mancanza di connessione autentica nella vita reale, tanto da portare alla creazione di nuove app che aiutino a monitorare e ridurre l’uso del telefono, quali Break Free, Moment o Quality Time. Non solo: esiste ora un sito chiamato Stop Phubbing, il quale cerca di sensibilizzare sull’uso eccessivo e compulsivo di prestare più attenzione al proprio smartphone rispetto alla persona che si ha di fronte, e di ridurre la vita virtuale a favore di quella reale. Conoscete qualche phubber incallito e avete raggiunto il vostro limite di sopportazione? Stop Phubbing fa al caso vostro: ora potrete mandargli una mail di intervention per cercare di fargli superare il problema, oppure potrete mandare una foto per la Phubbing Hall of Shame.

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