Molti dicono che il Sud sia uno stato mentale, un atteggiamento alla vita o un diverso approccio alle cose. Forse, più semplicemente, esistono tre modi di guardarlo, il Sud. Il primo sguardo è quello genuino – certo, senza infamia ma senza una particolare lode – di chi lo osserva con il sole in fronte e le cicale, il mare, le mozzarelle, la sabbia e le alici, gli scorci e i fiori d’arancio da inquadrare e portare a casa come souvenir. È lo sguardo insomma di chi è convinto di esserne parte perché si emoziona con Napule è o più semplicemente pensa di assaporarlo solo per il fatto di comprenderne la sua indubbia bellezza estetica e storica. Esiste poi chi lo guarda con un disprezzo nato dall’incomprensione e dalla paura, con quella superbia e quel cinismo di chi si concede senza remore di passare la spugna su tutto ciò che è bello e puro, tanto pesa tutto quello che, invece, è andato storto. Poi c’è chi il Sud semplicemente lo vive. Anche d’inverno, anche con la pioggia, anche con la malavita, l’opportunismo, l’omertà e tutte le difficoltà del caso.
Uno di questi è lo scrittore Antonio Franchini, classe 1958, un giovane uomo che vive nelle numerose strade della sua città, Napoli, tentando soprattutto quella piena di buche e tornanti del giornalismo italiano degli anni Ottanta. Le difficoltà oggettive di divincolarsi in un’intricata rete di potere e burocrazia, di farsi forza per raggiungere i propri obiettivi nonostante i numerosi impedimenti, rendono l’abusivismo napoletano, classico non solo per i mestieri più semplici e pratici, l’unica possibilità per i giornalisti in erba.
A Napoli, il 23 settembre 1985, Giancarlo Siani, giovane cronista ancora abusivo al Mattino, viene atteso sotto casa da due esecutori camorristi e colpito a morte. Franchini, dopo l’episodio, decide di abbandonare la scrittura per un periodo, lascerà poi Napoli per Milano e il giornalismo per la letteratura. Nel 2009 esce L’abusivo, Antonio Franchini, Marsilio Editori.
Dopo circa vent’anni passati tra riletture di articoli e raccolte di ritagli e di interviste, Antonio Franchini decide di usare ancora inchiostro per il caso Siani, a lungo rimasto un punto interrogativo nell’ambito giuridico e tutt’ora una macchia nella storia dello Stato italiano. Il titolo, che ha la peculiare capacità di riferirsi contemporaneamente al soggetto delle pagine, Siani, e alla mano di chi le scrive, Franchini, è solo una porta che ci introduce nel più vasto panorama di questo singolare prodotto letterario: un ibrido.
La cornice è quella del libro d’inchiesta, intorno alla quale gira ossessivo un solo interrogativo: Perché e da chi è stato ucciso Giancarlo Siani? Ma l’indagine, che pagina dopo pagina si nutre di interviste, pubblicistica, documentazione giornalistica e atti giuridici, si intreccia a sua volta con ricordi d’infanzia dell’autore, considerazioni sulla vita, sull’etica e sulla moralità. L’asse cronologico è intermittente, la narrazione è innestata su un montaggio alternato, costellato da punti di vista molteplici che a loro volta sono sostenuti da generi diversi: autofiction, biografia, autobiografia, cronaca, inchiesta.
Sfogliare L’abusivo significa quindi entrare in contatto con una scrittura pratica e subito accessibile, che tesse abilmente la sua tela tra le scelte della camorra e le scelte di giovani ragazzi napoletani, tra le scelte della morte e le scelte della vita. L’abusivo è dunque uno dei tanti prodotti di quel passaggio ancora in atto nel panorama della letteratura contemporanea che, nostalgica di quotidianità e verità, dal postmoderno – forte della sua ricerca di inquietudine tra le sue strutture ardite e le sue trame calviniane – si sposta verso un ritorno a un realismo non più pittorico, non più solo mimetico, un iperrealismo: per citare Donnarumma «la vita quotidiana è tornata a essere lo scenario in cui si misura, in modo problematico e senza garanzie, la ricerca dei valori collettivi e il senso dei destini individuali».
Se la narrativa attinge infine dalla vita vissuta, se la realtà può essere il materiale perfetto di un’indagine lirica, quale ventennio scegliere dunque se non quello degli anni Sessanta/Settanta, culla di grandi intrighi e di tensioni storiche ma soprattutto culla di autori come Antonio Franchini, ritrovatisi con la possibilità di non essere solo spettatori ma anche protagonisti di una storia e una verità vissute.
Quella de L’abusivo non è solo un’indagine su un giornalista assassinato dalla camorra, ma anche un’indagine sulla moralità, sul senso dell’essere al mondo, sulla verità come concetto polimorfo.
R. Donnarumma, Nuovi realismi e persistenze postmoderne: narratori italiani di oggi
A. Franchini, L’Abusivo, 2009, Marsilio
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