La mostra “A visual protest. The Art of Banksy”, da novembre al Mudec è una beffa al re della street art che da sempre si batte per un’arte più democratica che dal museo scenda nelle strade. Attraverso i suoi lavori Banksy infatti non tenta più di esortare le persone a frequentare i musei, ma cerca di portare l’arte fuori dalle istituzioni per installarle, in particolare, in quegli spazi tendenzialmente più degradati e privi di bellezza, come le periferie delle grandi città.
Tutte le opere dell’artista inglese sono una critica satirica quanto feroce sull’attuale società dei consumi che contamina tutto, perfino il mondo dell’arte e della cultura ufficiale, da cui Banksy prende le distanze. Sembrerebbe quasi uno Zorro dei nostri tempi, un personaggio senza volto che si batte per i diritti dei più deboli: per i rifugiati siriani che scappano da un paese in fiamme, per i giornalisti prigionieri delle dittature, per i bambini vittime della guerra e, infine, per tutti noi, vittime di una società che vuole farci credere che la felicità sia insita nel possesso di cose materiali, trascinandoci dunque inesorabilmente verso l’insoddisfazione e la frustrazione.
In coerenza con il suo pensiero si legge nel sito web di Banksy:
«Members of the public should be aware there has been a recent spate of Banksy exhibitions none of which are consensual. They‘ve been organised entirely without the artist’s knowledge or involvement. Please treat them accordingly».
Come bisognerebbe dunque approcciarsi a questa mostra milanese, realizzata in palese contrasto con il pensiero dell’artista e tanto meno autorizzata da quest’ultimo? A cominciare dal prezzo del biglietto, questa mostra è infatti tutto fuorché democratica: 14 euro solo per entrare, a cui se ne aggiungono altri 5 se si vuole noleggiare l’audioguida, in totale quasi il costo di un mensile dei mezzi di trasporto pubblici per uno studente. Il prezzo è ancor più esorbitante se si considera che delle ottanta opere esposte alla mostra la maggior parte sono serigrafie (cioè stampe) – di dimensioni non particolarmente impegnative – e che l’esposizione occupa uno spazio abbastanza irrisorio rispetto alle possibilità del museo. Ma la delusione più grande è stata in realtà la scelta curatoriale che ha prediletto un’esposizione fortemente didattica e tradizionale, in stridente contrasto con la volontà dell’artista di non essere musealizzato e con la stessa tendenza del Mudec a proporre visite più all’avanguardia rispetto agli altri musei pubblici. In questo senso l’ultima sala della mostra, purtroppo del tutto limitata e di passaggio, era piuttosto interessante. Su tre pareti vengono infatti proiettate le opere murales dell’artista, comprese nella casa o muro su cui sono state dipinte e accompagnate da brevi stralci dell’ambiente circostante.
Le altre opere di Banksy al museo del Mudec sono infatti decontestualizzate tanto quanto una pala d’altare a Brera; esse sono incorniciate ed esposte dietro a vetri tirati a lucido, in un’istituzione messa in discussione dalla loro stessa natura. In questo caso forse esporle tutte tramite la proiezione video sarebbe stata una scelta del tutto azzeccata. Insomma, perché fare una mostra interamente digitalizzata su un’artista come Modigliani e poi esporre nel modo più accademico possibile un’artista come Banksy? Forse voleva essere un atto di provocazione verso l’artista britannico.
Nella prima pagina del catalogo della mostra viene osservato come il museo del Mudec centri sempre gli argomenti e gli artisti di maggior attualità. Ovvero, prima ancora che ci fosse il caso del quadro di Banksy che si autodistrugge all’asta da Sotheby’s questo ottobre a Londra, il museo aveva già in programma l’esposizione. Indubbiamente il Mudec ha il merito di aver portato per la prima volta in Italia e in un museo pubblico questo artista, ma non si può certo dire che abbia anticipato una tendenza o affermato una figura prima sconosciuta, essendo Banksy ormai da anni lo street artist più famoso al mondo. Anzi, il Mudec mostra ancora una volta di puntare su nomi sicuri, su artisti in voga che gli assicurino un vasto pubblico ed entrate certe, conquistandosi indubbiamente la nomea di museo più commerciale d’Italia.
Visita alla mostra da parte dell’autrice
Foto dell’autrice